mercoledì 12 febbraio 2014

La felice sgobbata


Masio - Belveglio - Mombercelli - Vinchio - Incisa Scapaccino - Abbazia - Masio (Km 34)


Primi 30 chilometri dell'anno, faticosi e liberatori come ogni volta. L'uscita dal letargo invernale propone da sempre sensazioni contrastanti: da un lato il piacere di rimontare in bicicletta dopo tanto tempo, riscoprire la fluida scorrevolezza delle ruote sull'asfalto, riprendere contatto con una natura ancora scarna e addormentata come le gambe che timidamente vi si addentrano; dall'altro la banale e spietata realtà di una condizione fisica ai minimi termini che rende impervia qualunque rampetta sopra il 5% e infinito un normale rettilineo controvento.
Non è ancora metà febbraio ma non fa freddo, anzi basta indossare la giacca invernale e i gambali per godersi una buona temperatura anche senza indossare i guanti. Per il pomeriggio è previsto un forte vento, ma quando parto e imbocco la val Tiglione, una specie di galleria del vento naturale, contro di me soffia solo una leggera brezza che nei primi 4-5 chilometri non dà alcun fastidio, ma più o meno all'altezza del passaggio dalla provincia di Alessandria a quella di Asti, le raffiche cominciano ad aumentare d'intensità. È in questo tratto che riesco ad agganciarmi in successione a un paio di ciclisti dietro i quali mi rifugio fino a Belveglio, dove l'andatura del mio occasionale battistrada diventa tanto lenta da convincermi a passare avanti e affrontare in prima persona i tre chilometri che mancano a Mombercelli, dove invertirò il senso di marcia. È incredibile come nel giro di pochi minuti il vento si sia rinforzato, adesso soffia potente contro il mio senso di marcia costringendomi a un duro sforzo per mantenere un ritmo appena dignitoso lungo i pochi rettilinei che dividono i due paesi, e facendomi perdere ulteriore velocità a ogni minima gobba del terreno. Quando entro in Mombercelli sono ormai a corto di fiato, ma prima la protezione degli edifici e poi l'inversione di marcia all'imbocco della circonvallazione mi regalano un bel sollievo. Per un buon chilometro ora si vola quasi senza pedalare, ma il riposo dura il tempo di un sospiro, visto che un ulteriore cambio di direzione mi espone al vento giusto prima di imboccare la prima salita del giorno, che nel giro di 1500 metri mi porterà a Vinchio, cento metri più in su. È una salitella assolutamente innocua se non nella prima rampa che conduce a un tornante stretto, dove si tocca la pendenza massima dell'8%, ma basta e avanza per mandarmi in crisi, anche perché il tratto successivo, nel quale in teoria avrei dovuto rifiatare, è nuovamente battuto da forti raffiche di vento che mi obbligano a un ulteriore sforzo; quando finalmente la strada si assesta sul 5% con il sostegno del vento a favore, sono ormai fuori giri e non mi resta che ridurre l'andatura a livelli miserrimi per raggiungere infine il cimitero di Vinchio, dove scollino e mi fermo, indeciso se tirare dritto o cercare albergo tra i defunti. Niente che non mi aspettassi, ma fa sempre un certo effetto arrancare come muli da soma su asperità irrisorie, tanto per ricordare che la ruggine di quattro mesi di inattività non si scrosta con la sola voglia di uscire all'avventura.
Fortuna vuole che quando ripendo a pedalare la discesa a fondovalle e la successiva stradina della val Sarmassa che mi porta a Incisa siano battute dallo stesso forte vento a favore, che mi permette di bruciare senza fatica i chilometri che mi separano dalla seconda salitella di giornata, del tutto analoga alla prima che dal ponte sul Belbo mi porterà all'altezza di Roncaglia. Anche in questo caso sono 1500 metri di ascesa per circa cento metri di dislivello, ma stavolta l'attacco in scioltezza e mi basta controllare l'andatura sul paio di passaggi un po' più impegnativi per portarla a casa senza gli affanni della salita a Vinchio.
L'ultima emozione, che avrei volentieri evitato, me la dà un automobilista che ignorandomi del tutto taglia in pieno la curva che sto affrontando in discesa, passando a un palmo dal mio gomito sinistro, salvo poi alzare un braccio in segno di scuse tardive. I successivi chilometri fino ad Abbazia filano via velocissimi, e solo l'ultimo chilometro, nuovamente controvento, mi ricorda che siamo ancora a febbraio e che le gambe hanno bisogno di un lungo e impegnativo rodaggio per tornare a girare a livelli accettabili. La prima uscita va comunque in archivio positivamente, se ne riparlerà quando meteo e circostanze lo consentiranno.

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