Il 14 febbraio 2004, giorno della scomparsa anche fisica del Pirata, è l'11 settembre del ciclismo, la data che segna per sempre un prima e un dopo, il momento del non ritorno che spegne anche l'ultimo flebile fuoco del Giro 2003 e che consegna un'ambigua epopea sportiva agli atti irrevocabili di una tragedia umana.
Qualunque giudizio si dia della sua parabola sportiva, è innegabile che Pantani sia stato l'ultimo atleta capace di coinvolgere emotivamente un'intera nazione, più ancora di Tomba o di Valentino Rossi che pratica(va)no sport meno popolari del ciclismo.
Dopo di lui, il peloton è un agglomerato di gente che va in bici, magari mulinando i pedali a ritmo forsennato, ma senza la follia che ispirava le imprese dello scalatore romagnolo. Il ciclismo dopo Pantani è andato e andrà avanti, ha conosciuto epigoni robotici (Armstrong, Froome), grotteschi (Riccò, Di Luca), effimeri (Contador, Wiggins), minimalisti (Basso, Nibali), gente che ha vinto quattro volte tanto, ma neppure sommandoli tutti si arriva alla popolarità e alla capacità di far sognare del Pirata.
Marco Pantani, il ciclista che morì - prematuramente - due volte.
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