Bagnasco - Battifollo - Scagnello - Lisio - Viola - Saint-Grée - Pamparato - Valcasotto - Colla di Casotto - Garessio - Colla di Vetria - Vetria - Colle dei Giovetti - Massimino - Bagnasco (Km 84)
Quando un paio d'anni fa piazzai in una soleggiata ma fredda giornata di metà ottobre i 1060 metri del colle di S. Giacomo, pensai che l'azzardo era valso la pena e che poteva essere replicato alle giuste condizioni, e così, approfittando di una giornata libera a metà settimana e di una condizione fisica più che buona, disegno nella stessa zona un percorso molto complesso che mi regalerà gli ultimi tre scollinamenti oltre i 1000 metri della stagione. Il giro prevede inizialmente le salite di Battifollo, Saint-Grée e colla di Casotto sul versante occidentale del Tanaro, con la possibilità di aggiungere nella seconda parte le scalate del Vetria e del Giovetti sul versante orientale, a concludere un duro ma appassionante su e giù attraverso i coloratissimi boschi autunnali della zona.
La partenza fissata a Bagnasco prevede oltre un'ora di macchina di primo mattino, e la fitta nebbia accompagnata da pioggia che incontro lungo la strada mi fa per qualche momento temere di avere sbagliato la giornata, ma le previsioni meteo assicuravano assenza di precipitazioni nel cebano per tutto il giorno, e dunque decido di insistere. Alla fine nuvole basse e asfalto bagnato dall'umidità notturna mi terranno compagnia fin quasi a mezzogiorno, ma per fortuna non prenderò neppure una goccia di pioggia; in più, il cielo coperto garantisce una temperatura bassina ma costante, evitandomi pericolosi sbalzi soprattutto in discesa.
Quando finalmente riesco a partire dopo una buona colazione in un bar che deve aver conosciuto tempi migliori, ho ben chiaro che le chiavi per portare a casa il risultato senza distruggermi di fatica saranno la regolarità e la corretta gestione delle energie lungo tutto il percorso: tradotto dalla teoria alla pratica, severamente vietato forzare l'andatura nei primi 40 chilometri, anche nei tratti che inviterebbero ad aumentare il ritmo; poi, una volta sceso a Garessio ci sarà tutto il tempo e il modo di fare il punto della situazione e decidere senza assilli come proseguire.
Neanche il tempo di completare quattro pedalate che è dunque già ora di svoltare a sinistra e cominciare la prima salita del giorno che nel giro di sei chilometri e mezzo mi porterà agli 870 metri di Battifollo, sullo spartiacque tra le valli Tanaro e Mongia. Il cielo è ancora grigio e la nebbia sta cominciando a diradarsi, e nel complesso questi primi chilometri non regalano granché, così come l'aspetto più puramente tecnico: si tratta infatti di una salita agevole e regolare, con pendenze costanti tra il 5 e il 6%, con la sola eccezione del terzo chilometro quasi in piano e del penultimo un po' più impegnativo. Le ruote scivolano tranquille e fluide sull'asfalto umido e lo scollinamento arriva al culmine dell'attraversamento del paese senza che la prima asperità abbia limato le mie scorte di energia in maniera significativa.
La discesa è freddina ma priva di insidie, a parte qualche curva in ombra con fondo scivoloso, e in breve mi lascio alle spalle Scagnello e scendo attraverso una bella serie di tornanti alla provinciale di fondovalle Mongia, che comincio a percorrere verso Lisio. I tre chilometri in leggero falsopiano che precedono il paese sono forse i più anonimi del giorno, poi la strada prosegue verso Viola. Dopo un altro chilometro quasi pianeggiante, la salita diventa vera nel tratto che precede e segue il bivio per il colle di S. Giacomo: niente di drammatico, ma ora si sale al 7-8% e per la prima volta devo mettere un certo impegno per guadagnare quota fino all'abitato di Viola. Nel frattempo, il cielo in valle Mongia è ancora scuro, probabilmente ha smesso di piovere da poco e di lì a un chilometro finisco per entrare nelle nuvole basse; non è una nebbia fitta come altre volte ho incontrato, ma l'umidità è elevatissima e la strada bagnata. La salita, da parte sua, nel tratto da Viola alla ex stazione sciistica di Saint-Grée prosegue senza strappi, tranne un paio di curve in prossimità del termine che richiedono una certo sforzo.
Complice il meteo inclemente, lo spettacolo che incontro ai 1050 metri di Saint-Grée, uno dei massimi scempi della zona, è a dir poco desolante, tra caseggiati abbandonati a se stessi e anacronistiche strutture turistiche. Archiviato con buona disinvoltura il primo 1000 del giorno, me lo lascio dunque velocemente alle spalle per proseguire su strada più stretta verso Pamparato e la valle Casotto. Per circa tre chilometri si prosegue in quota con un primo tratto in discesa seguito da una lunga contropendenza, poi comincia una vera e propria picchiata di circa tre chilometri verso Pamparato nella quale alle difficoltà tecniche della strada bagnata e delle forti pendenze si aggiunge il trabocchetto di un tappeto di foglie e ricci fradici che occupa buona parte della sede stradale: massima attenzione per evitare cadute o forature, e al chilometro 30 raggiungo il paese delle paste di meliga da cui senza soluzione di continuità ha origine la terza e più lunga salita del giro, che in 11 chilometri raggiungerà la colla di Casotto, Cima Coppi coi suoi 1380 metri di altitudine.
Fino a questo punto sono andato anche meglio delle aspettative, ma ora sono curioso di capire quale impatto avrà su gambe e testa questo ulteriore ostacolo da scavalcare. In funzione delle sensazioni che avrò in vetta, deciderò come dar seguito al giro, ma per ora mi tocca ricominciare a spingere sui pedali.
L'altimetria della salita dal versante della valle Casotto non è particolarmente esigente: dopo un primo chilometro che propone discrete percentuali, la pendenza diminuisce progressivamente fino a spianare all'altezza di Valcasotto; di fatto, la prima metà dell'ascesa scorre via senza lasciar troppo da ricordare, se non il sole che per la prima volta riesce a rompere il fronte nuvoloso, offrendo affascinanti giochi di luce sui mille colori del bosco: era uno degli obiettivi del giorno, e finalmente vengo soddisfatto anche da questo punto di vista. In uscita da Valcasotto, la strada prosegue intanto con un lungo e abbastanza ripido rettilineo, il segnale che sta cambiando la natura della salita. Da questo momento, infatti, per i cinque chilometri che mancano alla vetta, la pendenza si assesta tra il 6 e il 7%, con qualche picco qua e là intorno all'8. Si rimane sempre su livelli di difficoltà ampiamente gestibili, ma i chilometri di salita sulle gambe cominciano a essere una ventina e per la prima volta affiora qualche cenno di fatica che riesco a tenere sotto controllo diminuendo leggermente l'andatura e alzandomi di tanto in tanto sui pedali per non insistere troppo a lungo sugli stessi muscoli. Dopo aver superato qualche momento di difficoltà, arrivo infine al tratto conclusivo della salita, forse il più duro in assoluto, ma ormai lo scollinamento è a un passo e un ultimo allungo mi consente di conquistare anche la colla di Casotto, che almeno fino alla prossima primavera inoltrata non verrà più superata in altitudine.
Mentre rifiato qualche minuto godendomi il mosaico di colori che riveste le montagne circostanti, mi rendo conto che la temperatura a questa quota è parecchio più bassa di quanto non fosse a Battifollo o Saint-Grée, e ora mi attende la lunga discesa di 13 chilometri fino a Garessio. I primi cinque o sei chilometri sono in effetti piuttosto freddi, per quanto non senta la necessità di indossare guanti e berretto invernale, ma in compenso è in questo tratto che si godono i panorami migliori del giro, con la vista che spazia su gran parte dell'alta valle Tanaro; quando poi nella seconda metà della discesa, sempre ampia e scorrevole, la quota scende decisamente sotto i 1000 metri, non resta che rilassarsi percorrendo finalmente una manciata di chilometri privi di qualunque tensione.
A Garessio, con 55 chilometri e oltre 1500 metri di dislivello alle spalle, mi fermo al sole di un dehor per mangiarmi un panino, approfittandone per scabiare quattro chiacchiere con un perdigiorno del posto che insiste per mandarmi a Valdinferno: per oggi non è proprio il caso. Dal canto mio, constato di sentirmi abbastanza bene da provare ad aggiungere almeno la salita alla colla di Vetria, se poi le cose dovessero andare male niente m impedirà di rinunciare e tornare sui miei passi: è forse questa considerazione che mi consente di affrontare la quarta salita del giorno con la giusta tranquillità. La scalata al Vetria è lunga circa sette chilometri, ma propone in alcuni tratti le pendenze più dure del giorno, con medie del 9% al terzo, al quinto e al settimo chilometro, e brevi passaggi oltre il 10%.
Superato il ponte sul Tanaro in uscita dalla cittadina, la salita comincia su pendenze moderate, ma giunto a un primo tornante mi accorgo che per la prima volta nel giorno comincia a far caldo. Mi fermo un minuto per sfilare i gambali e poi attacco con buon piglio la salita. Per circa un chilometro e mezzo, le difficoltà sono paragonabili a quelle della salite precedenti, con la sola differenza di un vento che nel primo tratto scoperto soffia a folate fastidiose, poi la strada si addentra nuovamente nel bosco, e se il vento si placa, le rampe si fanno decisamente più ripide. Il chilometro che segue è il più duro del giorno, ma riesco ad amministrarlo scalando il rapportino e a superarlo senza troppi danni, per quanto l'andatura scenda adesso a livelli di scampagnata. Superato il difficile passaggio intermedio, per un chilometro abbondante la strada concede una tregua che mi permette di rifiatare e recuperare un po' di forze, ma gli ultimi due chilometri sono nuovamente impegnativi e per la prima volta richiedono il massimo sforzo per essere domati. Lo scollinamento all'unica salita inedita del giorno arriva infine quasi inaspettato: non vi è alcun segnale che lo indentifichi e anche il toponimo è in realtà abbastanza incerto, non avendo trovato altre conferme al nome assegnatogli su Salite.ch; l'unica cosa sicura è che per la terza volta nel giorno ma l'ultima nell'anno mi trovo a superare quota 1000 metri slm, ed è con una certa soddisfazione che ridiscendo rapidamente ai 990 del colle della Rionda, dove mi fermo ancora per qualche minuto.
A questo punto mi rendo conto di aver speso molto, e le opzioni sono due: scendere a Priola e da qui percorrere gli ultimissimi chilometri in piano fino a Bagnasco, oppure aggiungere un ultimo sforzo, scendendo a Caragna in valle Bormida nei pressi di Calizzano, e da qui scavalcare ancora il breve e facile colle dei Giovetti. Inutile dire che fatto 30, decido di fare 31.
La discesa a Vetria e alla borgatina di Caragnetta, tra sabbia e buche in quantità industriale, presenta il fondo peggiore del giro, e va affrontata con cautela; nel frattempo, va segnalato anche un temporaneo sconfinamento in Liguria, regione nella quale si snoda l'intero percorso in salita e discesa del Giovetti. E' da tanti anni che manco dal colle dei Giovetti, e solo una volta l'avevo affrontato dal versante di Calizzano, ma per qualche motivo che non so spiegarmi ci sono affezionato, seppure si tratti di una strada assolutamente ordinaria. In questo caso, si tratta di affrontare i cinque chilometri al 5% di conserva, facendo a ogni tornante una sorta di conto alla rovescia, ma rispetto al Vetria le pendenze sono ben diverse e ce la faccio ancora a sviluppare una velocità almeno dignitosa, fino a raggiungere l'ultimo scollinamento, contrassegnato dallo sgangherato ma vissuto cartello che indica i 912 metri di quota. Stavolta è davvero finita, non restano che i nove chilometri di bella discesa a fondovalle, il rientro in Piemonte, il ponte sul Tanaro e il ritorno alla macchina per chiudere l'ultima puntata in (mezza) montagna dell'anno e uno dei giri in assoluto più impegnativi e meglio disegnati della stagione.
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