martedì 1 ottobre 2013

I Piani di Praglia e il passo della Bocchetta


Voltaggio - Passo degli Eremiti - Capanne di Marcarolo - Piani di Praglia - Campomorone - Passo della Bocchetta - Voltaggio (Km 54)


L'ultimo giro veramente impegnativo dell'anno si sviluppa ancora una volta sulle medie quote dell'Appennino ligure con le salite ai Piani di Praglia e al passo della Bocchetta, diametralmente opposte dal punto di vista tecnico: lunghissima e discontinua la prima, breve e secca la seconda che a tratti presenta pendenze ampiamente a doppia cifra; il tutto in un contesto ambientale ragguardevole e in una giornata finalmente caratterizzata da un sole pieno e una temperatura ideale per la bicicletta. Unico neo, a voler essere pignoli, l'ennesima lunga trasferta di questa stagione all'insegna più dell'esplorazione che dell'approfondimento o delle variazioni sul tema.
Il punto di partenza è infatti fissato a Voltaggio, piccolo paese in val di Lemme una decina di chilometri oltre Gavi, di fatto un pezzetto di Liguria solo geograficamente collocato in Piemonte, come dimostra l'architettura dei paesi fatta di stretti carrugi e pregevoli ponti in pietra. Fin dalle prime pedalate, è chiaro che di pianura proprio non se ne parlerà, se tra attraversamento del paese, discesa all'imbocco della strada per le Capanne di Marcarolo e rapida risalita dopo il guado sul rio Morsone, nel primo chilometro e mezzo mi tocca cambiare rapporto più volte che nell'intero percorso della settimana precedente. Il saliscendi prosegue per un paio di chilometri con la strada che risale il corso del rio, poi la salita si fa improvvisamente cattiva, con il chilometro e mezzo all'8% abbondante di media e qualche punta al 10 che porta al passo degli Eremiti, dove la strada proveniente da Voltaggio si ricongiunge a quella che scende dal monte Lanzone costeggiando le impressionanti gole del Gorzente. L'altra volta che ero capitato da queste parti, un paio di anni fa, la pioggia e le nuvole basse avevano reso vagamente claustrofobico un paesaggio di per sé piuttosto inospitale; in questo caso devo rivedere il giudizio, l'ambiente è brullo e selvaggio, ma sotto il sole rocce e vegetazione assumono colori forti e contrastanti che gli conferiscono un certo fascino, per quanto non possa a mio avviso definirsi propriamente bello né tantomeno grandioso. Ciclisticamente, i cinque chilometri che separano il passo dal guado sul Gorzente sono una discesa molto atipica, con frequenti contropendenze che comportano un dislivello negativo totale di poco più di 70 metri, non proprio l'ideale per rifiatare in attesa della ripresa della salita dopo il guado al chilometro dieci.
L'altro versante del Gorzente è molto diverso da quello appena percorso. La strada penetra immediatamente in una bella faggeta proponendo per un buon chilometro e mezzo pendenze tra il 9 e il 10%. Le energie sono comunque pressoché integre e anche questo ostacolo viene superato senza troppe difficoltà, poi la strada raggiunge la cresta e prosegue in falsopiano per circa un chilometro fino a raggiungere i ruderi della cascina Benedicta e i luoghi del terribile eccidio nella guerra partigiana. Dopo una breve quanto doverosa sosta, riprendo a pedalare in discreta salita fino all'abitato delle Capanne di Marcarolo, quindi l'ennesima contropendenza mi porta al bivio per i Piani d Praglia, distanti ancora quasi otto chilometri.
La strada, ancora per qualche chilometro in territorio piemontese, entra però nel versante ligure, fatto di prati e ampi panorami che spaziano sulle verdi montagne che mi separano dal mare di Genova, mai visibile seppur distante pochi chilometri in linea d'aria. Anche la salita, dopo una breve rampetta subito dopo il bivio, è di fatto finita: per i chilometri che mancano al passo di Praglia, prima in Piemonte e poi in Liguria, si procede su un morbido e rilassante saliscendi, certamente il passaggio più bello del giorno che accompagna l'incedere fino agli 880 metri dello scollinamento. Anche dal passo, la vista che si apre sull'entroterra genovese dominato dal santuario della Madonna della Guardia è molto spettacolare, mentre di fronte al senso di marcia, a pochi chilometri in linea d'aria, già si indovina il monte Leco che sovrasta il passo della Bocchetta.
La discesa a Campomorone, su strada ampia e ben tenuta che percorre la val Verde, è veloce e sicura, e dopo aver superato alcune frazioni di Ceranesi, una volta oltrepassato il torrente si arriva direttamente al centro de paese e all'imbocco della seconda e più impegnativa asperità del giro, al km 36.
La salita al passo della Bocchetta, storico passaggio cruciale del decaduto Giro dell'Appennino, mi è sembrata molto dura e mi ha ricordato per molti versi quella di Superga dai Sassi. Lunga poco più di otto chilometri per 650 metri di dislivello, soprattutto nella prima parte procede a sbalzi, con rampe ripidissime anche abbastanza prolungate alternate a brevi pianetti che consentono di rifiatare, ma che vengono immediatamente compensati da nuove rasoiate che nei punti più pendenti lambiscono il 15%. Dopo un passaggio agevole nei pressi di Langasco, subito seguito da uno strappo violentissimo, per un paio di chilometri la salita si assesta intorno al 6% fino a Pietralavezzara, dove la strada spiana nuovamente per qualche centinaio di metri: è il tratto più facile della salita che introduce agli ultimi tre chilometri, molto duri e regolari, con pendenza sempre prossima al 10%.
Le gambe, che fino a questo punto hanno retto bene, cominciano a girare con più pesantezza, anche perché il dislivello già lasciato alle spalle, tra salita vera e propria, strappi e contropendenze, supera i mille metri. Abbasso la velocità e mi concentro esclusivamente a raggiungere di volta in volta la curva successiva, nella speranza sempre vana di trovarmi davanti una rampa meno cattiva. La fatica si fa sentire e anche il bel panorama intorno a me riesce a stento a sollevarmi dallo sforzo, e neppure quando il passo compare alla mia destra posso tirare i remi in barca, perché a mezzo chilometro dallo scollinamento arriva un'ultima tremenda rampa che richiede ancora una volta il massimo impegno. È l'ultimo colpo di coda di una salita che ha ben poco da invidiare ad altre più rinomate, le poche centinaia di metri che mancano sono un po' più leggere e finalmente raggiungo il passo col famoso cippo dedicato ai vincitori dell'Appennino.
La discesa in val di Lemme, nuovamente in Piemonte e immersa nel bosco, ha l'aria di essere una di quelle strade che raramente vedono il sole, tant'è che a dispetto della bassa altitudine è piuttosto fredda, ma manca ormai davvero poco a chiudere un giro bello, vario e difficile come si confà all'ultima uscita estiva.

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