mercoledì 3 settembre 2014

Il colle della Fauniera


Pradleves - Santuario di San Magno - Colle della Fauniera - Santuario di San Magno - Pradleves (Km 43)


È probabilmente la salita più dura del Piemonte, per non dire delle Alpi occidentali. Seppure sia stato affrontato una sola volta dal Giro d'Italia, con i suoi 21 chilometri all'8% di pendenza media, le sue punte massime sopra il 15%, la sua altitudine prossima ai 2500 metri, il Fauniera dal versante della valle Grana rappresenta uno dei traguardi più ambiti e più difficili per qualunque cicloturista. Per l'ultimo giorno di un agosto che proprio in coda concede qualche scampolo di estate, le ipotesi in campo erano parecchie, ma alla fine a spuntarla è la più ardita: e d'altronde, se non ora quando, visto che le sensazioni al Ciabra sono state molto buone? Il Fauniera, inoltre, propone un paio di passaggi intermedi, al santuario di San Magno e all'Esischie, che in caso di eccessiva difficoltà mi permetterebbero di chiudere il giro in anticipo senza lasciarmi troppa delusione da obiettivo mancato.
Il tempo a disposizione è poco come sempre, e dunque decido di partire da Pradleves, rinunciando a priori all'idea di percorrere l'anello con discesa in valle Stura, ma la sostanza del giro non cambia, ci sarà da faticare, e tanto. Una delle cose che impressiona di questa salita, almeno fino al santuario, è la sua progressività, ogni chilometro è più duro del precedente, cosicché alla fatica che si va via via accumulando si aggiunge ogni volta una difficoltà maggiore da superare, in un circolo vizioso che non dà tregua soprattutto nel finale, quando più ce ne sarebbe bisogno.
Si comincia con tre chilometri facilissimi, intorno al 3%, e un altro paio sul 5-6%, buoni per scaldare un minimo la gamba, ma a gioco lungo deleteri, visto che questo inizio molto morbido sarà in seguito compensato da pendenze da capogiro. Meglio pensarci adesso, l'unica accortezza possibile è non buttare energie inutilmente e salire a passo ridotto, mentre la strada s'incunea tra i roccioni lungo la parte più stretta della valle con la gradevole compagnia del torrente che scende a bordo strada. Si tratta comunque di un tratto molto chiuso che non offre spunti panoramici, ma anche questo aspetto verrà ampiamente ripagato man mano che si prende quota.
Superati i primi cinque chilometri interlocutori, ne manca ancora uno per raggiungere Campomolino, e qui, attraverso un paio di tornanti abbastanza duri, si comincia vagamente a capire a cosa si sta andando incontro; quando si arriva alla sede del comune di Castelmagno, si sono superati più o meno i primi 300 metri di dislivello e i conti sono presto fatti: ne mancano 1400 da scalare in quindici durissimi e interminabili chilometri, numeri da brividi.
Non appena si svolta a destra verso il santuario, la carreggiata si dimezza e assume pienamente i connotati di strada di montagna; soprattutto, sin dal primo tornante si supera per la prima volta la soglia del 10%, ma il primo chilometri offre ancora qualche tratto in cui rifiatare e scorre via senza troppi patemi così come il secondo e buona parte del terzo, nei quali le pendenze si assestano costantemente tra il 9 e il 10%, ma tutto sommato si riesce ancora a salire con una certa regolarità e senza andare troppo in affanno, cosa che capiterà di lì a poco.
In corrispondenza di una cappella dedicata a San Bernardo da Mentone, poco prima della borgata Chiotti situata a metà del tratto tra Campomolino e il santuario, si incontra infatti il passaggio più duro di tutta la salita, una curva a destra seguita da un rettilineo e una successiva curva a sinistra in cui si raggiunge la pendenza del 16%, un'autentica mazzata alle gambe che richiede il massimo sforzo, ma chi pensasse a un successivo alleggerimento della salita si sbaglierebbe: nei tre chilometri che mancano al santuario si pedala ancora su una pendenza media del 10%, con lunghissimi tratti all'11-12% e una nuova rasoiata al 15% all'altezza di Chiappi. È in questo tratto che raggiungo e supero una coppia di ciclisti francesi con cui farò l'elastico fino al colle, scambiandoci di tanto in tanto impressioni e incoraggiamenti reciproci. Per il resto, l'aspetto positivo è che a partire da Chiappi il vallone si apre sui pascoli e le rocche dell'alta valle, rendendo almeno da questo punto di vista molto più piacevole il raggiungimento del piazzale del santuario, dove mi concedo una sosta di una decina di minuti per bere e godermi un po' di sole che sta finalmente avendola vinta sulla foschia e che da qui in avanti mi regalerà un clima ideale per pedalare.
Una leggenda metropolitana vuole che dopo il santuario il Fauniera diventi più facile. Posso smentire questa illusoria diceria: è vero che non si toccano più pendenze impossibili (solo un breve passaggio vicino al 15%) e che si incontrano un paio di tratti semipianeggianti in cui tirare il fiato, ma gli otto chilometri che mancano al colle hanno sempre la media del 9% e poco oltre la metà di quest'ultimo settore si incontra un chilometro terrificante all'11-12%, forse il più duro in assoluto per continuità; se a questo si aggiungono la fatica già accumulata, l'altitudine sopra i 2000 e un fondo dissestato soprattutto nell'ultimo tratto, si capisce come ogni metro vada conquistato con sudore e con l'occhio sempre puntato alla spia della benzina, come e forse più di prima.
Lasciato alle spalle il santuario, si riprende per un breve tratto a salire su forti pendenze, poi la salita concede l'unico momento di pausa, un lungo curvone a sinistra in piano che anticipa una serpentina nuovamente piuttosto ripida. Si procede ancora per quasi due chilometri abbastanza regolari fino a raggiungere quota 2000, poi, quando mancano circa quattro chilometri e mezzo al colle, arriva un drittone terribile che risale il vallone senza pietà, seguito da altre rampe più brevi ma ugualmente massacranti: è il punto più difficile di tutta la salita, le energie non sono più quelle di inizio giro e non resta che ridurre al massimo l'andatura e attendere con pazienza una diminuzione della pendenza che pare non arrivare mai.
Superato quest'altro durissimo ostacolo, la strada spiana per poche decine di metri, quel che basta per attaccare il chilometro, ancora sulla soglia del 10%, che manca a raggiungere il bivio per la valle Maira, quasi in corrispondenza con l'Esischie, dove ho deciso di fare un'altra breve sosta. La salita molla leggermente e si riesce a procedere tenendo lo sforzo sotto controllo, in un ambiente d'alta montagna adesso grandioso e selvaggio. In alto a sinistra compare finalmente il colle, ma evito di soffermarmici perché manca troppo a raggiungerlo, e so che dovrò dare il massimo per centrare l'obiettivo.
Dopo un paio di minuti di pausa all'Esischie, affronto il chilometro e mezzo che mi distanzia dalla vetta. Il manto stradale è ora in pessimo stato, a tratti l'asfalto è sostituito da cemento grezzo, ma continuo a salire ignorando anche un principio di crampi che ai 500 metri colpisce la coscia destra: mi alzo sui pedali quel tanto che basta per cambiare il movimento, poi arriva come una liberazione l'ultimo tornantino, uno scatto di nervi e infine il Fauniera, dove campeggia il segnale con la dizione originaria di Colle dei Morti. Sono stanco ma non distrutto, decido di percorrere ancora mezzo chilometro in valle Stura fino al suggestivo passaggio scavato tra le rocce, poi torno al valico per le foto e le solite chiacchiere con i pochi ciclisti che arrivano. Una grande soddisfazione che dopo le immani fatiche di un paio di anni fa sul vallone dell'Arma temevo non fosse più alla mia portata.
Perfino la discesa, che allora mi era costata nella prima parte un'ulteriore dose di sofferenza per le condizioni precarie del fondo, mi sembra stavolta abbastanza accettabile, segno che una maggiore lucidità permette di trovare le traiettorie migliori e di godersi i tanti scorci che la valle propone. I tratti peggiori, pieni di salti e di buche ma per fortuna molto brevi, si incontrano invece nella boscaglia tra il santuario e Campomolino, poi gli ultimi chilometri su strada ampia e filante sono il giusto premio a conclusione di un giornata memorabile, dove il piacere dell'impresa ha finito per addolcire anche la fatica spesa per ottenerla.

1 commento:

  1. per me non è la salita più dura, affatto; ho trovato più impegnativo pedalare per la val Varàita e salire al colle dell'Agnello

    RispondiElimina