martedì 15 maggio 2012

Il colle del Moncenisio


Susa - Colle del Moncenisio - Susa (Km 47,2)



Nel panorama delle grandi salite delle Alpi Occidentali, il Moncenisio gode immeritata fama di colle di serie B, secondo molti granfondisti rappresenta poco più di un riscaldamento in vista delle scalate vere al Galibier o all'Iseran. Strada statale ampia, rari tornanti, pendenze mai proibitive e panorama autenticamente montano soltanto negli ultimi chilometri possono in effetti spiegare certi giudizi ingenerosi, ma se si vanno a leggere i numeri, la realtà che ne esce è diversa: oltre 1500 metri di dislivello in 24 interminabili chilometri rappresentano - per dare l'idea - un Pordoi dieci chilometri più lungo, insomma una bella impresa per chi se li deve faticare a cavallo di una bici, che richiede un buon allenamento di gambe e una bella predisposizione di testa.
Partenza classica da Susa, il che significa levataccia mattutina e prime pedalate sotto un sole non ancora caldo. Neppure il tempo di uscire dalla cittadina che si comincia a salire con decisione. Un cartello appena fuori dall'abitato informa che le punte massime dell'ascesa raggiungono il 10%, ma è un'indicazione davvero poco significativa, perché quello che alla lunga sfianca del Moncenisio non sono le rampe assassine che gonfiano le gambe e svuotano i polmoni, ma al contrario il ripetersi di una prospettiva sempre uguale in uscita da ogni curva, col riproporsi di un rettilineo o di una serpentina maledettamente uguale a quelli superati cinque o dieci chilometri prima.
Non che manchino improvvise impennate o tratti in cui tirare il fiato, i primi 6-7 chilometri propongono in tal senso una bella varietà di ritmo, ma nel complesso non si scappa dal motivo dominante di uno stradone che si fa largo nel bosco con una regolarità che a gioco lungo rischia di diventare demotivante. Normalmente, quando affronto per la prima volta una salita in bicicletta, cerco di analizzarla chilometro per chilometro, memorizzando i punti più salienti sia tecnicamente che turisticamente. Qui è impossibile: a distanza di poche ore, non saprei descrivere il quinto o il dodicesimo chilometro, o meglio non saprei citarne le differenze significative.
Gli unici punti di riferimento, durante una pedalata inesorabile, sono le pietre miliari che precedono il traguardo intermedio, più virtuale che reale, del confine di stato, posto circa 17 chilometri e 1200 metri di altezza sopra Susa. Mi lascio alle spalle i due bivi per Giaglione, qualche tornante discretamente panoramico sopra Susa, la deviazione per la Val Clarea, e dopo sette chilometri raggiungo la piana di Venaus, un lungo intermezzo nel quale la strada spiana prima di raggiungere Molaretto e riprendere a salire al 6-8%, sempre nel bosco, sempre contando i chilometri che mi lascio alle spalle alzandomi di tanto in tanto sui pedali per cambiare posizione e rilassare i muscoli impegnati nello stesso movimento.
Con più pazienza che autentica fatica arrivo a Bar Cenisio, ormai a tre chilometri dalla Francia. La strada si impenna per un buon chilometro sopra l'8%, poi torna al 6 e su questa pendenza giungo finalmente a immortalare il cartello di confine. Un paio di semicurve e sono al secondo e ultimo tratto in piano della salita: un lunghissimo rettilineo su un pianoro con vegetazione ormai rarefatta che precede la celebre Scala, la bellissima serie di quattro tornanti che supera il salto che introduce alla spianata del colle vero e proprio. Per fotogenicità e maestosità ingegneristica siamo tra i massimi esempi di questo settore alpino, peccato che duri relativamente poco e che una volta in cima mi attendano due sorprese poco piacevoli: una, a dire il vero poco sorprendente, è che la strada riprende a salire piuttosto monotona nei tre chilometri che mancano a raggiungere il primo 'scollinamento' con vista sul lago; la seconda, molto più spiacevole, è che al colle si stanno rapidissimamente ammassando nuvoloni neri gonfi di pioggia spinti da un vento forte quanto freddo.
Comincia a cadere qualche goccia di pioggia e sento la temperatura abbassarsi velocemente, ma sono ormai in vista della vetta e concentro l'ultimo sforzo per raggiungere il lungolago. Quando arrivo all'altopiano, la pioggia si sta però già facendo fitta e le raffiche di vento aumentano d'intensità trascinandosi nuvole color piombo; la piramide è circa un chilometro davanti a me (e pure una quarantina di metri più in su, per quanto può valere), ma in queste condizioni rischio davvero di imbarcare secchiate d'acqua per raggiungere un traguardo ormai privo di qualunque significato.
Mi fermo alla prima piazzola, indosso le maniche della giacca a vento e i guanti, e comincio immediatamente la discesa. I primi tre chilometri, fino alla Scala, sono tremendi, soprattutto nei rettilinei controvento, nei quali il vento mi sbatte in faccia una pioggia sottile e gelata. Il freddo è tutto sommato sopportabile, ma per cinque minuti rivivo in piccolo l'incubo di tanti anni fa, quando la discesa dal Lavazzè a Bolzano si trasformò in un calvario. Per fortuna, stavolta mi basta scendere ancora per qualche minuto per ritrovare il sole e una temperatura gradevole. Rivarcato il confine, il resto è una discesa tranquilla fino a Susa, mai pericolosa, ma tutto sommato poco spettacolare, come lo è stato nel complesso questa prima uscita in montagna dell'anno. La prossima, sulle strade della Valle d'Aosta, avrà altri connotati di difficoltà e di bellezza, ma del Moncenisio ricorderò a lungo l'innocua, infinita, sfibrante regolarità, come quella di un pugile che non disponendo del colpo del ko lavora per tutto il match l'avversario con un'interminabile serie di jab.

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