Chiusa - Bressanone - Sant'Andrea - Eores - Plancios - Passo Eores - Passo delle Erbe - Passo Eores - San Pietro - Chiusa (Km 71)
Torno in Alto Adige a due anni di distanza dalle scalate memorabili del Monte Giovo e del Rombo, questa volta per puntare ancora più in alto, in tutti i sensi; ne uscirà una quattro giorni straordinaria, oltre le migliori aspettative, che mi porterà in luoghi e su strade di una bellezza unica, una somma di ambientazioni da favola e di epica ciclistica che probabilmente rappresenta l'apice del mio ormai trentennale vagabondaggio su e giù per strade che hanno fatto la storia dello sport o più modestamente accompagnato il trascorrere della mia vita.
Ho cinque giorni a disposizione, ma sarà il primo giro a darmi l'idea di quanto e come potrò osare. In sede di organizzazione, per molto tempo il ballottaggio è stato tra Manghen ed Erbe: una scelta difficile anche perché l'escluso potrebbe rimanere tale per sempre, ma alla fine sono certo di aver fatto la scelta giusta, se è vero che il colle delle Erbe si rivelerà una delle conquiste più straordinarie e sorprendenti di sempre.
Il punto di partenza è a Chiusa, bella cittadina in valle Isarco, pochi chilometri a sud di Bressanone, che si raggiunge in piena tranquillità risalendo il fiume attraverso un breve tratto della meravigliosa ciclabile che unisce Bolzano e il Brennero, un preludio breve e rilassante prima di cominciare a fare sul serio.
La salita al passo delle Erbe non è particolarmente impegnativa, ma è eterna: oltre 29 chilometri, per quanto comprensivi di un paio di contropendenze, sono lunghi da far passare, soprattutto se si hanno già alle spalle più di quattro ore di macchina e se quello che si sta affrontando è solo il primo di una serie di giri ravvicinati a cui non sono abituato.
Per facilitare lo sforzo almeno a livello di testa, meglio dunque spezzare la salita in due parti dalle caratteristiche tecniche diverse: la prima metà, da Bressanone a Plancios, è in salita continua, ma non troppo complicata ed esaurisce buona parte del dislivello; la seconda, dall'andamento incostante, conduce al passo proponendo alcuni dei passaggi più duri alternati a tratti agevoli e di discesa.
I primi cinque chilometri fino a Sant'Andrea sono piuttosto esigenti, su pendenza tra il 7 e l'8%, salvo l'ultimo tratto un po' più facile, e si snodano nel tipico ambiente altoatesino fatto di prati verdissimi e curati come giardini, chiesine coi campanili aguzzi e case tenute perfettamente: un contesto bucolico e armonioso, eppure sarà questo il settore meno significativo, in relazione a quanto deve ancora arrivare.
Sto infatti per entrare nel parco Puez-Odle, in pieno territorio dolomitico, e lo spettacolo che mi si presenterà davanti è un vero miracolo della natura. Dopo qualche chilometro in pineta, all'uscita di una curva, ecco apparire il profilo frastagliato delle Odle, una fila di impressionanti torrioni che spezzano improvvisamente la linea del cielo e che da questo momento calamitano gli occhi, mentre le gambe continuano a macinare chilometri fino a giungere al paese di Eores, ormai a tre chilometri dal passaggio intermedio di Plancios, che raggiungo con discreta disinvoltura. Si tratta di un primo scollinamento, in cima al quale si gode di una vista sensazionale: alla catena delle Odle si sono infatti affiancati, da destra verso sinistra, le gigantesche moli del monte Tullo del Sass Putia; sono tutte cime in realtà ben al di sotto dei 3000 metri, ma è la loro conformazione rocciosa che domina il verde scuro delle pinete e quello chiaro dei pascoli a renderle così magnetiche e spettacolari.
Sono intanto a quota 1700 e nei restanti 13 chilometri dovrò raggiungere soltanto i 2000 (e forse neppure quelli), eppure la fatica non mancherà di certo. Innanzitutto, una discesa di circa tre chilometri mi fa perdere quasi 150 metri faticosamente guadagnati in precedenza, poi la salita riprende con un chilometro molto duro, intorno al 10%, per poi proseguire su pendenze moderate fino a incrociare load strada proveniente dalla val di Funes, che percorrerò in discesa, e raggiungere il passo Eores, non segnalato da alcun cartello, ma preceduto da un paio di bar che fanno al caso mio. I chilometri in salita sono ormai una ventina, comincia a fare caldo e sto esaurendo le scorte di acqua, per cui è il momento di fermarsi a mangiare e bere qualcosa prima di affrontare l'ultimo sforzo della giornata.
Tornato in sella adeguatamente rifornito, una nuova breve discesa precede gli ultimi tre chilometri di ascesa che culmineranno al passo delle Erbe, dominato sulla destra dalla imponente sagoma del Sass Putia. Le pendenze sono di nuovo importanti, in vari punti superiori all'8%, ma la certezza di raggiungere il traguardo di giornata mi dà la spinta per insistere e infine arrivo al passo più sbalordito per la bellezza del paesaggio che sfinito dalla fatica: il primo obiettivo della trasferta è brillantemente conquistato e non mi rimane che godermi il risultato dello sforzo, col solo dubbio della quota effettivamente raggiunta: il cartella al valico parla chiaro ed espone l'altitudine di 1987 metri, ma molte fonti parlano di 2004, una differenza non di poco conto, visto che ci balla la fatidica quota 2000.
In un caso o nell'altro, resta la soddisfazione di un'altra perla relativamente poco conosciuta, aggiunta alle tante già lasciate alle spalle, sua volta destinata a essere superata da altri traguardi ancor più memorabili, ma prima di consegnarlo al passato, il passo delle Erbe ha da regalare ancora le emozioni della discesa lungo il versante di Funes, con le sue pendenze da capogiro nel tratto centrale, le ultime viste sulle Odle da una prospettiva diversa, il passaggio nel bel paese di San Pietro e l'attraversamento della stretta gola che mi riporta a Chiusa, termine di un giro che rasenta la perfezione.
il meglio del giro
Il momento in cui compaiono le Odle e una bella salita diventa una salita dolomitica.
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