venerdì 28 giugno 2019

Il passo San Marco


Morbegno - Albaredo per San Marco - Passo San Marco - Albaredo per San Marco - Morbegno (Km 52)


10 metri al mito. Quali caratteristiche deve avere una salita per entrare nel gotha delle imperdibili? Deve avere un'adeguata storia ciclistica, deve essere lunga, con pendenze importanti, possibilmente attraversare e portare in bei posti; e poi, salvo rare e talvolta discutibili eccezioni, deve superare i 2000 metri. Non c'è niente da fare, salvo Ventoux ed Alpe d'Huez (faccio già fatica a inserire il Mortirolo) al di sotto di quella quota manca qualcosa, e quando i metri sono pochissimi (Maddalena, Roselend, Rolle, per non parlare dei 1999 metri del Sarenne) verrebbe quasi voglia di aggiungerli con un sotterfugio, come forse è stato effettivamente fatto in casi controversi come la Madeleine o l'Erbe. Sta di fatto che al passo San Marco, storico collegamento a 1992 metri di altitudine tra val Brembana e Valtellina, più lungo dello Stelvio e appena meno difficile del Gavia, sembra davvero che manchi un centesimo per fare la lira ed essere consacrato nel ristretto novero delle salite del mito a due ruote.

Tra i due versanti dalle caratteristiche differenti ma ugualmente impegnativi, opto per quello valtellinese soprattutto perché più facilmente raggiungibile, oltre al fatto che mi attira l'idea di cimentarmi con una salita così lunga e continua, che mi metterà alla prova sul piano della resistenza fisica, più che su quello dell'intensità dello sforzo.
Come tutte le salite così lunghe, è bene suddividerla in settori più o meno omogenei per darsi traguardi intermedi e per impostare un ritmo che dovrò sostenere per due ore e mezza abbondanti, uno sforzo superiore anche a quello del lago Serrù. In questo caso, dopo la partenza dai 260 metri di Morbegno, si comincia a salire senza neppure un metro di preambolo, ma i primi dieci chilometri fino ad Albaredo hanno una pendenza media al di sotto del 7%, per cui la parola d'ordine non può essere che evitare di sprecare neppure un grammo di energia, in vista di quella che mi costeranno i chilometri successivi. Questo primo tratto di salita, oltre che per alcune belle viste sulla bassa Valtellina, si ricorda perché ancor prima di raggiungere il primo abitato di Arzo, risulta già ben distinguibile il passo, ancora lontanissimo e apparentemente irraggiungibile.
Raggiunto il paese di Albaredo, ancora all'interno del centro abitato si registra un deciso cambio di pendenza che introduce ai sei chilometri più difficili del giorno, con pendenze costantemente tra l'8 e il 10% e qualche punta al 12. È all'incirca a metà di questo settore che raggiungo una coppia padre-figlio che sale a ritmo ragguardevole, tenuto conto che il ragazzino risulta essere dodicenne; il padre lo sta allenando per disputare non so quale gara sullo Stelvio, ma per quanto impegno ed entusiasmo ci metta il figlio, devo dire che una volta lasciatili alle spalle, non li vedrò mai arrivare al passo.
Per quanto mi riguarda, ho un bel da fare a macinare una pedalata dopo l'altra, con la prospettiva però che il settore seguente sarà di gran lunga il più facile, un'altra mezza dozzina di chilometri pedalabili che dovrebbero consentirmi di recuperare in vista dell'ultimo sforzo lungo i tre chilometri finali della salita. Condizionale quanto mai d'obbligo, visto che quando la strada esce dal bosco al termine del settore più semplice, i chilometri alle spalle sono ormai 23 e soprattutto comincia a soffiare un vento freddo e contrario che rende le ultime lunghe traverse all'8-9% estremamente faticose.
Mai vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso, specie se quella che sto portando a termine è la salita fino a questo momento più dura dell'anno; con spirito di volontà misto a un senso di rassegnazione per un finale in sintonia con l'asprezza del paesaggio, raccolgo le poche forze che mi rimangono per scalare le ultime rampe e arrivare in qualche modo al traguardo del San Marco, una salita di prima categoria che probabilmente meriterebbe una maggior fama e una maggior frequentazione anche da parte del Giro, sempre alla ricerca di pendenze estreme a discapito di ascese più tradizionali, adatte a chi sa mantenere un ritmo elevato per lunghi periodi più che scattare sulle rampe di garage.
Al passo, in risposta al continuo susseguirsi di ciclisti e motociclisti, si trova un furgone-bar che sforna panini e bibite a getto continuo, e neppure io mi sottraggo al rito dello sfilatino alla porchetta mentre mi godo lo spettacolo delle Alpi Retiche delle Prealpi bergamasche.
Ancora qualche foto e qualche minuto di riposo, poi comincia una discesa lunga ma tutto sommato abbastanza agevole grazie a una sede stradale larga e in buono stato. Tornato a Morbegno, la sensazione è quella di aver conquistato un passo tanto bello e difficile quanto destinato a non lasciare una traccia indelebile nella mia memoria ciclistica. Questione forse di 10 metri.

il meglio del giro

Gli ultimi tre chilometri, duri ma molto belli, dove l'assenza di vegetazione dà l'impressione di trovarsi a una quota superiore a quella reale.

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