martedì 18 settembre 2012

Il vallone d'Elva


Macra - Stroppo - Elva - Colle di Sampeyre - Stroppo - Macra (Km 46)


Il colle di Sampeyre dal vallone d'Elva è la mia salita piemontese preferita, non ci sono Agnello, Nivolet o Fauniera che tengano. L'ho scalato per la prima volta quasi venti anni fa, uno dei miei primi 2000, in una delle tante giornate nebbiose del luogo: ricordo una fatica pazzesca a 'leggere' i continui cambi di ritmo dei primi cinque chilometri, poi, dopo Elva, il colpo di pedale che si aggiusta e l'arrivo in scioltezza tra le nuvole che avvolgevano tutto, un'esperienza fantastica fisicamente e mentalmente, seppur per tanti aspetti opposta a quella vissuta venerdì scorso.
Sì, perché due decenni non passano invano, nel frattempo ho cambiato radicalmente il modo di affrontare una salita così lunga e difficile e anche quello di pianificare le mie sempre più occasionali uscite in montagna; e soprattutto perché il Sampeyre è il più enigmatico dei colli cuneesi, in vetta le giornate di sole (inverno a parte) si contano sulle dita di una mano, ed è questo il motivo per cui gode di recensioni poco favorevoli in Rete: spettacolare e inquietante il vallone, bella la salita, ma lassù una vera delusione...
Capisco la frustrazione di chi magari si è fatto un sacco di chilometri (il Sampeyre è anche molto scomodo da raggiungere) per arrivare in un mare di nebbia, ma ai delusi mi sento solo di consigliare di riprovarci in una giornata più propizia, inutile avventurarsi da quelle parti se dalla pianura il Monviso non spicca nitidamente. Se però si azzecca la giornata giusta come è capitato a me questa volta, lo spettacolo è indimenticabile. Lungo i 16 chilometri all'8% medio che distanziano il fondovalle dal colle è un continuo cambio di paesaggi e di prospettive, ogni metro va assaporato man mano che viene faticosamente superato, perché nessuno scorcio è uguale al precedente, e anche quando negli ultimi quattro chilometri si percorre un'interminabile diagonale, ad attirare l'attenzione c'è sempre il Monviso che appare e scompare lì davanti tra le pieghe della linea di confine tra le valli Maira e Varaita, il campanile di Elva che si fa sempre più piccolo, la pianura immensa e lontanissima che ogni tanto se ne sbuca tra gli avallamenti delle alture, oppure il fischio intermittente delle marmotte pasciute, da queste parti molto più numerose delle automobili, che prendono il sole a pochi metri dal selciato e non disdegnano di attraversare la strada a due passi dalle ruote della bicicletta.
Visto lo scarso fondo e per evitare possibili crisi lungo il percorso, scarto il classico anello con discesa in val Varaita e decido di partire da Macra, in valle Maira inoltrata, riducendo i chilometri a 46 e scendendo direttamente a Stroppo. I primi otto chilometri in falsopiano sono completamente in ombra e il freddo è abbastanza pungente da convincermi a indossare una maglia con le maniche lunghe (che terrò fino ai meno quattro dal colle) e la giacca a vento. Il breve riscaldamento è comunque utile per arrivare al bivio per Elva con un minimo di rodaggio e attaccare la salita non completamente a freddo.
I primi cinque chilometri che risalgono il vallone sono giustamente tra i più celebri e temuti delle Alpi cuneesi: la strada si fa largo scavata nella roccia di uno spaventoso strapiombo in un ambiente affascinante e terribile al tempo stesso. Si sale a gradoni con tratti tra il 10 e il 15% che si alternano ad altri molto pedalabili, nei quali mi faccio vincere dalla tentazione di avvicinarmi al bordo sinistro della strada per dare un'occhiata all'ingiù: l'orrido sotto di me è semplicemente terrificante, ma non c'è tempo per pensarci troppo perché subito la salita riprende più cattiva di prima, mentre una a una ci si lascia alle spalle una dozzina di brevi gallerie buie che contribuiscono a conferire alla traversata un aspetto ancora più sinistro. Malgrado tutto, la strada è comunque sufficientemente larga e ben tenuta da non dare mai una reale sensazione di pericolo, almeno percorrendola in salita.
Dopo un ultimo strappo a doppia cifra, la strada esce improvvisamente dal tratto roccioso per addentrarsi per un paio di chilometri nel bosco. È il tratto meno interessante del giro, e anche la salita sembra adeguarsi alla pausa di riflessione facendosi regolare e pedalabile attraverso tre facile tornanti. In uscita dall'ultimo, si ricomincia però a salire con decisione e poco dopo si intravede per la prima volta l'abitato di Elva, per raggiungere il quale è comunque necessario superare un ulteriore gradone al 15% e un ulteriore rettilineo poco sotto il 10.
A Elva, dopo un buon rifornimento idrico, sosto per qualche minuto sul piazzale della chiesa famosa per il ciclo di affreschi del maestro fiammingo Hans Clemer. In cielo non si trova una nuvola manco a pagarla, la luce è perfetta e dal paese risultano ben visibili il tratto finale del vallone e, guardando verso l'alto, i verdissimi prati e le pinete sovrastate dagli ampi pascoli che si estendono fino al colle. Non resta che risalire in sella e andare a toccare con mano tutta questa bellezza. Mancano sette chilometri e mezzo e quasi 700 metri di dislivello alla vetta, cifre che lasciano pochi dubbi sulla durezza della seconda metà di salita che mi aspetta.
Ancora un tornante e un'ultima bellissima vista in uscita dal paese, ed ecco che si riprende a salire. Se nella prima parte non mancavano tratti in cui riprendersi dalle tremende rasoiate sopra il 10%, adesso le cose sono molto più chiare: si sale costantemente tra il 9 e il 10%, e tranne l'ultimo chilometro un po' più dolce sarà così fino alla fine. Fino all'incrocio con la strada proveniente da Stroppo, sono tre chilometri difficili e suggestivi: la strada ora molto stretta entra ed esce da un bel bosco di larici e avvicinandosi alla fatidica quota 2000 si comincia a palpare l'atmosfera rarefatta dell'alta montagna.
Raggiunto il bivio a quota 1930, restano gli ultimi quattro chilometri, quelli che di norma vanno immaginati perché immersi nelle nuvole e che in questo caso si aprono invece in uno stupendo scenario nel quale la vista può spaziare in pochi attimi dai 3800 metri della punta del Monviso alle basse quote della pianura ai piedi della val Maira. Uno spettacolo meraviglioso che rende più sopportabile la mancanza di ossigeno e la durezza delle ultime interminabili rampe. In queso tratto, la strada compie infatti un'unica lunghissima semicurva a sinistra, col colle sempre bene in vista che dà l'errata sensazione di essere lì a portata di ruota. Niente di più sbagliato, anche qui si continua a salire su pendenze sempre vicine al 10% e il traguardo del colle va guadagnato a prezzo di uno sforzo intenso e prolungato. C'è ancora tutto il tempo di passare lentamente a fianco di una piccola mandria di mucche al pascolo e di un bel gruppetto di marmotte fischianti prima di concludere la fatica in un'apoteosi di panorami da lasciare incantati.
Dal Monviso al Pelvo, dal colle dell'Agnello a Elva piccolissima, dalla val Maira alla Varaita, non si sa dove posare l'occhio, e nessuna foto può rendere l'idea della maestosità del luogo. A 360°, nient'altro che l'immensa, muta grandezza delle Alpi Cozie. Ci sarebbe da fermarsi mezza giornata a godersi lo spettacolo, ma come sempre il tempo è poco e in più fa abbastanza freddo, dunque non resta che vestirsi e iniziare la discesa, che per i primi quattro chilometri coincide con l'ultimo tratto di salita, per poi dividersi quando si prende a sinistra la strada per Stroppo. È una discesa a tratti ripida e tecnica, in alcuni punti esposta, con un'infinità di curve cieche e un fondo in generale buono intervallato da spezzoni sconnessi, da affrontare insomma con una certa cautela, ma decisamente normale se paragonata alla strada del vallone che corre parallela a pochi chilometri di distanza.
L'ultima bella sorpresa prima di chiudere il giro è che per una volta a fondo valle non soffia il tremendo vento contrario che quasi sempre caratterizza la valle Maira: la ciliegina sulla torta di una giornata che meglio non avrebbe potuto chiudere la stagione dei giri in montagna.

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