Verrès - Montjovet - Col d'Arlaz - Challand-Saint-Anselme - Col Tsecore - Amay - Col de Joux - Brusson - Challand-Saint-Anselme - Verrès (Km 61,3)
Dopo un mese costellato da contrattempi, malanni e altri impegni prioritari, risalg in sella a rivoluzione copernicana avvenuta: dopo 20 anni di onorato servizio, la Cucchietti va in pensione, sarà ancora utile per qualche giretto di allenamento, ma il testimone di fatto passa di mano, a raccoglierlo è una bicicletta al passo coi tempi a marchio Fondriest ed equipaggiata Shimano Ultegra con guarnitura compact. Ci sarà tempo per prendere piena confidenza e attribuirle quello strano affetto che per quanto oggetto inanimato una bicicletta sa conquistarsi chilometro dopo chilometro, avventura dopo avventura. Per il momento posso solo registrare un passo avanti molto sensibile, che fin dall'esordio mi consente di osare e portare a termine un percorso che nell'attuale stato di forma non mi sarebbe stato accessibile a cavallo della vecchia bici.
Per il 'battesimo' scelgo infatti di tornare in Valle d'Aosta, disegnando un giro tanto bello quanto duro che prevede la scalata di tre colli sulla sinistra della val d'Ayas: l'Arlaz, lo Tsecore e il Joux. I primi due sono abbastanza brevi ma durissimi, il terzo sarebbe pure pedalabile, ma dopo lo sforzo appena sostenuto superarlo diventa a sua volta una bella impresa.
Sotto l'aspetto cicloturistico, basti dire che tre colli che a stento superano i 1000 e i 1600 metri di altezza entrano a pieno titolo nel gotha dei più belli mai affrontati: l'ambiente selvaggio attraversato nei chilometri finali di Arlaz e Tsecore, e gli stupendi panorami che accompagnano l'ascesa al Joux meritano di essere guadagnati anche a prezzo di una bella sprenuta di fatica e sudore.
Partenza tranquilla da Verrès e primi cinque chilometri verso Montjovet pianeggianti: saranno gli unici della giornata, buoni per un primissimo test della posizione in sella leggermente più avanzata e del brillante colpo di pedale del nuovo mezzo. Arrivo in fretta alla rotonda che introduce al col d'Arlaz, dove abbandono la statale e attacco la prima salita, subito vera e da me molto temuta: in caso di eccessiva difficoltà, sarò infatti costretto a sconvolgere il programma, rendendo di fatto quasi inutile la lunga trasferta.
Sin dai primi tornanti, posso apprezzare un significativo salto di quota rispetto al paese sottostante, ma è dopo il primo chilometro che la salita si fa davvero cattiva, e tale resterà per oltre quattro chilometri. Le pendenze si avvicinano progressivamente al 10%, mentre la strada si infila in un bel bosco da cui di tanto in tanto si apre una finestra sul fondovalle. Non ci sono tratti in cui rifiatare, solo qualche rampa leggermente meno ripida delle altre lungo il succedersi di alcuni affascinanti frazioncine (Petit e Grand Hoel, Barmachande); al contrario, man mano che si procede, la salita, che in questo tratto centrale mi ricorda quella di Madonna del Colletto, si fa più impegnativa, soprattutto in uscita dei tornanti.
Malgrado l'abbia presa abbastanza a freddo, sento la gamba girare inaspettatamente bene, complice anche un 34x25 su cui in passato non avevo mai potuto contare. L'andatura si mantiene bassa e regolare, ma tutto sommato ce la faccio a superare senza eccessivi problemi anche i tratti più duri, al 12-13%, e in uscita da un ennesimo tornante raggiungo infine l'abitato di Grand Hoel, e con esso la fine del tratto più difficile dell'ascesa. Adesso alle ultime rampe dure si alternano tratti facili, e quando esco dall'abitato la salita si fa improvvisamente pedalabile, la migliore notizia possibile, dato che nel paio di chilometri che mancano allo scollinamento, la strada esce dal bosco e prosegue attraversando splendidi pendii prativi, mentre a fondovalle la vista ora si estende fino a Saint-Vincent. Le ultime pedalate verso l'Arlaz sono tra le più belle dell'anno, lungo una lingua d'asfalto ora strettissima dove non si incrocia anima viva e bisogna tendere bene l'orecchio per sentire l'eco di qualche rumore in lontananza.
Raggiunto il colle, mi concedo il tempo di gustarmi la pace circostante e di immortalare la prima conquista della nuova bicicletta; un nome forse poco altisonante, ma perfettamente in linea col mio modo di intendere l'attività ciclistica: sano e talvolta intenso allenamento, coniugato con la scoperta di strade e paesaggi sempre nuovi.
La discesa verso Challand-Saint-Victor è di poco più di un paio di chilometri, ma bella e piuttosto tecnica soprattutto nella parte finale, quando la pendenza si accentua proprio in prossimità dell'immissione nella strada regionale della val d'Ayas, da prendere con assoluta cautela.
Il tratto lungo la strada principale fino a Challand-Saint-Anselme è di circa quattro chilometri con pendenze tra il 6 e l'8%, ma la novità è che adesso il sole ha cominciato a picchiare, e quasi senza accorgermene comincio a sentire un gran caldo e la pedalata per la prima volta un po' pesante. Niente di preoccupante, ma quando arrivo al bivio per lo Tsecore in località Quinçod, penso bene di fare una breve sosta per bere e mangiarmi un bel toast, decisione che si rivelerà provvidenziale lungo la durissima salita che mi attende.
Appena girato a sinistra e iniziata la nuova salita, capisco subito che la musica sta per cambiare drasticamente, anche rispetto all'Arlaz. Per un chilometro, fino a Orbeillaz, si sale con discontinuità: rampette maligne sono ancora intervallate da brevi passaggi poco più che in falsopiano. Poi, non appena si lascia la frazioncina con improvvisa svolta a destra, lo Tsecore presenta il suo salatissimo conto: fino alla prossima frazione di Arbaz saranno tre chilometri e mezzo per un dislivello di quasi 400 metri, senza mai un metro di tregua se non in corrispondenza dei tornanti che prendo larghi per quanto la strada stretta permette. Una dopo l'altra si susseguono traverse e serpentine con pendenze vertiginose, per lunghi tratti sopra il 10%, e quando la salita ogni tanto si decide a variare, non è per alleggerirsi, ma per presentare terrificanti passaggi al 15% e oltre. Gli unici aspetti positivi sono il bosco che regala ombra e attenua la durezza dello sforzo, e la vista sulla val d'Ayas, ormai laggiù in basso, che dà la misura di quanta quota si stia guadagnando in pochissimo tempo.
Nel complesso, l'impressione è di riuscire a salire con grande difficoltà ma tutto sommato una certa costanza; a scanso di equivoci mi impongo comuque un paio di mini soste a metà del secondo (micidiale) e del terzo chilometro: meglio un eccesso di prudenza che rischiare di scoppiare all'improvviso in modo a quel punto irreversibile. Il risultato è che seppur a un ritmo molto blando, riesco infine a uscire dal bosco a circa mezzo chilometro da Arbaz: la pendenza ora scende all'8-9%, ma tanto mi basta per avere la certezza che il più è fatto e che anche lo Tsecore è stato in un modo o nell'altro domato. Il chilometro e mezzo che manca alla vetta, intorno al 7%, è immerso tra pascoli e pinete, un autentico balsamo per le gambe che proprio nel momento in cui la salita diventa più umana cominciano paradossalmente a sentire i primi inequivocabili segni della fatica.
Quando arrivo infine a scollinare, faccio un veloce punto della situazione per valutare le due opzioni di completare il giro secondo programma o scendere direttamente a Saint-Vincent cassando il Joux, il meno prestigioso degli obiettivi di giornata. Le energie ancora a disposizione sono poche, ma i chilometri di salita sono solo sette e con pendenze più che abbordabili, per cui decido almeno di provarci, se poi dovessi crollare, niente mi impedirà di girare la bici e scendere a valle.
Per il momento, mi godo la bella discesa dallo Tsecore, che all'altezza del bivio per Emarese si apre sulla sinisra sulla meravigliosa vista che caratterizzerà buona parte della salita del Joux. Mi trovo giusto alla testa della valle d'Aosta, e il panorama spazia da Saint-Vincent qualche centinaio di metri sotto di me, alla media valle, fino al Monte Bianco che spunta in lontananza. Peccato per la foschia, ma è davvero una delle visuali più belle che si possano incontrare sotto i 1500 metri di altitudine.
Nel frattempo, sono sceso fino al bivio per il colle di Joux, che imbocco sulla destra. La strada comincia subito a salire con una certa decisione, seppure su pendenze non paragonabili a quelle delle salite precedenti. Nei primi due chilometri sono intorno all'8%, e tanto basta tuttavia per farmi capire che dovrò raggiungere l'ultimo scollinamento procedendo di conserva, dosando con parsimonia le forze residue. La carreggiata ampia non dà la reale percezione della durezza di alcune rampe (accentuata da un fastidioso vento contrario) che apprezzo per contraltare nel momento in cui, superate le frazioni di Petit e Grand Rhun, la strada spiana decisamente.
Per una altro paio di chilometri fino ad Amay, si procede a mezza costa su pendenze ora inferiori al 5%, con ancora la compagnia sulla sinistra della splendida vista su tutta la Vallée. Niente di meglio per sopportare di buon grado l'acido lattico che ora morde le gambe e rende complicata anche una salita del tutto ordinaria. Un'ultima breve sosta all'altezza di Amay per consumare un paio di barrette, e sono pronto all'ultimo sforzo della giornata, i due chilometri e mezzo all'8% che mi separano dal col di Joux. Quando raggiungo i primi edifici ch anticipano il colle e supero l'ultimo pascolo, è ormai fatta: non resta che entrare nella pineta, affrontare di slancio l'ultimo tornante e scavalcare l'agognato GPM, una grande soddisfazione che obiettivamente oggi non sarebbe stata possibile in sella alla Cucchietti.
Sono a 1640 metri di altezza, ho 38 durissimi chilometri alle spalle e non mi resta che godermi gli ultimi 23 chilometri verso Verrès, interamente in discesa salvo un'innocua contropendenza all'altezza di Brusson. La discesa fila via tranquilla e filante fino a Targnod, dove in corrispondenza dei tornanti che precedono l'ingresso in Verrès si alza un vento molto forte che richiede una certa attenzione fino alla chiusura del giro.
In definitiva, non poteva esserci rodaggio migliore per la nuova bicicletta, sia tecnicamente che turisticamente. Non resta che programmare un degno finale di stagione dall'ultima settimana di luglio ai mesi di settembre e ottobre.
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