Casteldelfino - Pontechianale - Chianale - Colle dell'Agnello - Chianale - Pontechianale - Casteldelfino (Km 42,9)
La giornata più attesa dell'anno finalmente arriva. La 18° tappa del Tour 2011 da Pinerolo a Serre Chevalier prevede prima del rientro in Francia il transito lungo la val Varaita fino allo scollinamento ai 2744 metri del colle dell'Agnello, ed è proprio in vetta al gigante alpino che da mesi ho fissato l'obiettivo da raggiungere. Sono tanti anni che manco da queste parti, la condizione fisica nel frattempo è un po' calata, e devo pianificare al meglio lunghezza e tempi dell'itinerario.
Considerato che nelle ultime settimane ho dovuto saltare alcune uscite e ridimensionare le poche effettuate, decido di non strafare e di partire dai 1300 metri di Casteldelfino. D'altronde, l'Agnello è la salita che più mi ha fatto penare anche negli anni buoni, e voglio assolutamente evitare di dover rinunciare magari a un chilometro dalla vetta per aver anticipato la partenza a Sampeyre.
Parto in macchina di buon mattino e già a Saluzzo incrocio le prime avvisaglie della tappa con i classici festoni e palloncini gialli. Quando poi faccio l'ingresso in valle Varaita, ecco che comincio a superare i primi ciclisti, che presto diventeranno fila ininterrotta, talvolta raggrumata in gruppetti o grupponi: è il clima Tour che inizia diffondersi almeno 5 ore prima dell'arrivo dei corridori.
A ogni piazzola, sale la tentazione di mollare la macchina e unirmi alla carovana, poi finalmente raggiungo Casteldelfino e arriva il mio momento. Il tempo di cambiarmi e montare la ruota anteriore della bici, ed ecco il primo - e per fortuna unico - imprevisto: mentre gonfio la ruota posteriore, un sibilo improvviso mi avverte che la camera d'aria è andata, tocca cambiarla e rigonfiarla, stavolta con l'aiuto di un paio di tedeschi che mi offrono gentilmente la loro pompa professionale.
In pochi attimi sono infine pronto a montare in sella e cominciare la mia avventura, per la quale avrò il conforto di una lunga esperienza: posso dire di conoscere a menadito ogni metro della salita che mi aspetta, e la cosa sarà di non piccolo aiuto nei momenti più duri.
Qualche centinaio di metri in falsopiano, un primo tornantone ampio e pedalabile, poi si copmincia subito a fare sul serio già in uscita dal paese. Il chilometro che serve per raggiungere la borgata Rabioux ha il 9% di media, quindi ne seguiranno altri due al 7-8%, prima che la strada spiani in vista del lago artificiale. In questi primi chilometri, la priorità è di non guastare la gamba con inutili forzature, cosa che mi riesce senza troppe difficoltà nel momento in cui mi unisco a un gruppetto che procede più o meno alla mia andatura.
Dopo il breve ma apprezzabile tratto pianeggiante che costeggia il lago, all'altezza dell'attraversamento della seggiovia di Pontechianale, la strada torna a salire sensibilmente per un lungo rettilineo, e subito dopo la pendenza supera per la prima volta la doppia cifra in un curvone a destra seguito da un breve quanto ripido dente che porta direttamente a un secondo lungo tratto semipianeggiante. Da questo punto a Chianale, saranno circa tre chilometri dall'andamento discontinuo ma mai particolarmente impegnativo, fino al raggiungimento della vecchia dogana, da cui si può ben dire che comincerà il 'vero' colle dell'Agnello.
Due minuti per una bevuta e una telefonata, e sono pronto ad attaccare il mostro. Supero il celebre ponticello e dopo cento metri ecco il biglietto da visita dell'Agnello: due durissime rampe intervallate da uno stretto tornante che mettono subito a dura prova i muscoli delle gambe: da questo momento non è ha più nessuna importanza prendere punti di riferimento o cercare di attaccarsi a una ruota, si tratta soltanto di impostare un ritmo il più possibile sostenibile e prepararsi ad affrontare uno sforzo acuto quanto prolungato. L'unica cosa certa è che per oltre un'ora le mie risorse psicofisiche saranno sollecitate al massimo. Sembra un'inutile punizione autoinflittami, ma è per questo che sono qui, per dare tutto e infine raggiungere l'obiettivo che mi ripagherà dieci volte tanto la fatica impiegata per conseguirlo. La soddisfazione di arrivare in cima, la contemplazione della severa bellezza delle alte Cozie, la totale concentrazione in sé per ottenere un traguardo fuori di sé, la progressiva fusione di gambe, braccia, polmoni, cuore, testa col mezzo meccanico, sono cose che hanno un prezzo da pagare che cresce con la grandezza dell'obiettivo da raggiungere. A tutte queste cose, però, mentre pedalo non ho tempo di pensare, devo soltanto misurare l'impegno, dosare le forze col bilancino del farmacista, perché nel frattempo i metri scorrono uno alla volta, Chianale sembra già lontanissima laggiù a fondovalle e il tornante a destra all'altezza dei ruderi di un fortino mi introduce ai due chilometri più difficili di tutta l'ascesa. Sono due terrificanti drittoni che scalano il vallone senza pietà, senza mollare un attimo se non forse nell'intervallo di un paio di tornantini che prendo larghissimi. Procedo con andatura lenta e costante, ormai ho abbondantemente superato i 2000 metri di quota e percepisco un sensibile calo della temperatura per un vento che soffia forte e freddo a dispetto del sole che splende.
Al termine del secondo interminabile rettilineo, mi preparo ad affrontare una serie di quattro ripidi tornanti cui seguirà l'unico tratto di respiro dell'intera salita, un ampio curvone a destra pedalabile nel primo tratto e addirittura pianeggiante nel secondo. È un momento da assaporare tanto gradito quanto effimero, perché subito dopo il successivo tornate a sinistra la strada torna a impennarsi ferocemente con altre tre rampe intervallate da tornanti con pendenze ben superiori al 10%. È il terzultimo, terribile chilometro: l'altitudine è prossima ai 2500 metri e l'ossigeno comincia a scarseggiare proprio nel momento in cui ne servirebbe in abbondanza per assecondare lo sforzo profuso. Stringo i denti, raccolgo le residue energie e proseguo ad andatura miserabile fino a raggiungere al penultimo chilometro un tratto di qualche centinaio di metri caratterizzato da una pendenza finalmente umana che mi consente, se non di rifiatare, quanto meno di proseguire.
Quando però raggiungo il penultimo tornante a poco più di un chilometro dalla vetta, ecco che l'altitudine sommata alla fatica e al freddo ora pungente mi presenta il conto mandandomi improvvisamente fuori giri: per un attimo ho la sensazione di perdere la padronanza del mio corpo, sebbene le gambe girimo ancora a sufficienza. So che non è il caso di correre rischi, mi fermo per un paio di minuti col cartello dell'ultimo chilometro a pochi passi, il colle ben visibile sopra di me eppure irraggiungibile, il Monviso che da destra mi osserva respirare affannosamente. Riparto affronando l'ultimo rettilineo con gli altri ciclisti che mi superano, ma dopo duecento metri sono di nuovo in crisi. Mi arresto di nuovo e stavolta mi dico che tutto sommato non ne vale la pena, ho dato il massimo e nessuno mi obbliga a dare di più, sarà comunque una giornata da ricordare: sono pensieri che non valgono il tempo esprimerli, perché in realtà ho già deciso di fare un ultimo tentativo, e sotto sotto sono sicuro che sarà quello buono. Riprendo faticosamente a pedalare e questa volta sento che tutto il corpo mi asseconda, l'ultima curva a destra e infine il tornante a sinistra che introduce all'ultima rampa, meno impegnativa delle precedenti.
Ci sarebbe da dire che a 50 metri dal GPM una solerte quanto ruvida gendarme francese impone a tutti, tra gli improperi generali, di scendere dalla bicicletta, ma adesso posso davvero pensare 'chissenefrega, ce l'ho fatta'. Non avrò l'inutile foto del cippo ma non è per quella che sono salito fin qui.
A questo punto, tutto quel che segue non può che essere un sovrappiù: la discesa di tre chilometri battuta dal vento alla ricerca di un punto protetto e panoramico per aspettare la corsa, il passaggio della carovana con consueta raccolta di gadget, il roteare degli elicotteri che anticipano l'arrivo degli atleti, e infine il passaggio dei corridori. C'è un gruppetto di 15 in avanscoperta, a cinque minuti il gruppo dei migliori, poi via via sgranati altri gruppi di anonimi fino al passaggio dei velocisti, da Hushovdt a Cavendish. La prima sensazione è che si vada più piano di qualche anno fa, e la cosa è certamente positiva. Per il resto, la corsa si infiammerà sull'Izoard grazie all'azione di Schleck, ma va più che bene così. Adesso, pausa estiva pensando già alle ultime uscite da programmare per settembre e ottobre.
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