lunedì 18 gennaio 2010
Cinquant'anni senza Airone
Avrei voluto arrivarci in bici, poi un raffreddore micidiale e i tempi ristrettissimi mi hanno convinto a ripiegare sui mezzi motorizzati: macchina fino a Villavernia, poi navetta per Castellania.
Da quando seguo il ciclismo, e più tardi ho cominciato a pedalare anch'io, i miei campioni preferiti sono stati Argentin, Bugno e Pantani. Prima e sopra di loro l'icona dell'uomo che diventa altro a cavallo di una bicicletta: Fausto Coppi.
Il Campionissimo è morto quasi dieci anni prima della mia nascita, il suo apice sportivo risale agli anni tra la fine dei Quaranta e l'inizio dei Cinquanta, un'epoca che posso solo immaginare, filtrata da racconti, letture e filmati di repertorio.
Eppure mi sono sempre sentito un coppiano, per l'idea che mi sono fatto del suo modo di stare al mondo che sapeva magistralmente riprodurre in corsa. Un uomo solo al comando sulle strade del Giro, dove precedeva gli avversari di qualche manciata di minuti, e su quelle della vita, dove precorreva i tempi di qualche decennio. Ma tutto quasi per sbaglio, con un atteggiamento schivo di chi sembra subire la propria grandezza e unicità, prima ancora che cavalcarla e sfruttarla commercialmente. Un uomo tanto grande e unico che il destino cercò in tutti i modi di mettergli i bastoni tra le ruote mentre gli si inchinava impotente.
Quanto basta per svegliarsi di buon'ora in un freddo mattino d'inverno di mezzo secolo dopo, per rendere omaggio al più grande atleta italiano di tutti i tempi, per pensare non 'io c'ero', ma 'non potevo non esserci' la prossima volta che monterò in sella.
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