Pratolungo - colle della Lombarda - Pratolungo (Km 42,2)
Venti chilometri abbondanti di ascesa, pendenze a più riprese sopra il 10%, scenari d'alta montagna tra tornantoni, pinete, laghetti, residui nevosi, arrivo ben oltre la soglia dei 2000 metri: ce n'è abbastanza per classificare il colle della Lombarda tra le grandi salite del cuneese che uniscono la difficoltà dell'impresa al fascino che subito la colloca nel libro dei ricordi a due ruote.
Parto direttamente dal bivio dalla stata le colle della Maddalena. È una strada che mi manca da parecchi anni, ma la conosco bene, in particolare la ricordo piuttosto discontinua, da affrontare con lucidità.
Dopo un primo chilometro di semplice riscaldamento che porta a Pratolungo, l'anticamera della salita sono una dozzina di tornantini brevi ma tutto sommato pedalabili che portano al vecchio posto di dogana. Siamo in media intorno al 6-7%, qualche rampa è decisamente più facile, le ultime vedono un significativo aumento della pendenza, ma nel complesso sono un paio di chilometri scarsi buoni per scaldare i muscoli e spezzare il fiato in attesa della parte più dura della salita, 6 chilometri al 9% di media con lunghi tratti a doppia cifra.
Attacco i primi lunghi rettilinei di questo tratto con buona scioltezza, ho preso un ritmo discreto e sto giusto pensando che sto salendo col passo giusto quando un ragazzo su mountain bike mi prende d'infilata spingendo un rapporto che per me sarebbe impossibile. Nel giro di pochi minuti esce dalla mia visuale, e mi viene inesorabile il dubbio di star andando in realtà pianissimo. Non penso nemmeno a forzare l'andatura e mi rassegno a proseguire la salita col mio passo, in attesa che i prossimi chilometri chiariscano il mio attuale stato di forma.
Di lì a poco, arrivano le prime risposte: in fondo a una lunga traversa tra il terzo e il quarto chilometro, davanti a me compaiono un paio di sagome ondeggianti. In questi casi, ci si rende conto di quanto faciliti la vita avere un punto di riferimento davanti a sé, il tempo sembra passare più facilmente man mano che dopo ogni curva chi ti sta davanti appare più grande e vicino. In qualche tratto di più lungo respiro, mi rendo conto che c'è una bella fila di gente che sta facendo la mia strada. Uno dopo l'altro riesco a raggiungere e superare 5 o 6 ciclisti, da uno di loro vengo a sapere che sono insieme e dopo la Lombarda li aspetta la Bonette, normale che non spingano a tutta, ma alcuni di loro sembrano davvero in difficoltà e non so come se la caveranno da qui a fine giornata.
Intanto però devo pensare a me. I chilometri dal quarto al sesto sono in assoluto i più difficili, con la strada che sale parallela al torrente con pendenze a tratti micidiali. Per fortuna ci sono lunghi pezzi ombreggiati e la temperatura è ancora fresca, così salgo con buona efficacia in attesa messianica dei primi due tornanti, un paio di centinaia di metri in cui la strada spianerà permettendomi di riprendere fiato. Da qui in avanti, ci saranno ancora rampe durissime, ma finalmente intervallate da qualche tratto più agevole, soprattutto in corrispondenza delle serie di tornanti che adesso si susseguono.
Tra i chilometri 9 e 10 raggiungo il penultimo della serie, che sta entrando in crisi, e metto nel mirino l'ultimo, che sale di buon passo non più di una ventina di secondi davanti a me. È il punto in cui la strada spiana nettamente per un paio di chilometri prima del bivio per il santuario, la cosa da fare sarebbe tirare il fiato in attesa dei chilometri finali, ma la prospettiva di raggiungere il tipo è troppo ghiotta e allungo il passo per prenderlo prima del bivio. Caso vuole che in quel momento lui stia rifiatando, per cui la mia idea di fare un bel pezzo alla sua ruota svanisce. Non posso variare così nettamente il ritmo, per cui dopo qualche parola proseguo in solitudione lasciandolo alle mie spalle.
A conti fatti è un brutto errore strategico. Dopo il bivio per il santuario, la strada torna a impennarsi su pendenze vicine al 10% per almeno un paio di chilometri in cui si raggiungono i 2000 metri e dall'altra parte della valle si scorge il santuario. Mancano più di 5 chilometri alla vetta, il peggio è ormai ampiamente alle mie spalle dal punto di vista altimetrico, ma le ultime severissime rampe mi sono costate uno sforzo troppo grande per le mie attuali condizioni.
Ai cinque dal colle, il ciclista mi risorpassa, per un paio di chilometri riesco anche a tenermi in scia, tra i dieci e i venti secondi, ma è chiaro che ormai l'obiettivo è raggiungere la fine della salita. L'altitudine - è la prima volta che vado oltre i 2000 - unita alla fatica, mi mette grande difficoltà. Ricordo che una volta raggiunto un laghetto sulla sinistra, gli ultimi 3 chilometri sono meno duri, ma ormai tutto è relativo. In corrispondenza del penultimo chilometro, in ingresso a un paio di tornanti relativamente agevoli, una curva è stata crudelmente tagliata in occasione del passaggio del Tour un anno fa. Risultato: rampa durissima che esaurisce le mie forze residue, e appena svoltato metto il piede a terra a scanso di equivoci.
Rifiato e bevo per un paio di minuti, poi mi rimetto in sella. Adesso la salita sarebbe davvero facile, da cambiare e chiudere in quasi in volata, ma non per me in questo momento. Ogni pedalata costa una fatica impossibile da descrivere, sono all'ultimo chilometro quando, dulcis in fundo, arriva anche la temutissima fringale, la crisi di fame dovuta a calo inesorabile di zuccheri che ti farebbe addentare qualunque cosa anche nel massimo dello sforzo. Ho osato troppo nei primi 15 chilometri, quando la gamba girava, e adesso impiego dei quarti d'ora a completare il tratto più facile della salita. Sono cose che capitano, non c'è da farne un dramma, ma con un minimo di sagacia in più avrei evitato questo piccolo calvario.
In vetta, è un susseguirsi di ciclisti, alcuni arrivano freschissimi, altri reggendo l'anima coi denti, ma per tutti c'è la soddisfazione impagabile di avercela fatta e di potersi godere lo spettacolo della strada lasciata alle spalle nel contesto di un paesaggio alpino impareggiabile che si apre su tutta la parte superiore del vallone di S.Anna.
Il tempo di scattare qualche foto e mi rendo conto che la temperatura è bassina, per cui è meglio coprirsi un po' e poi attaccare la discesa. La ricordavo molto sconnessa soprattutto fino al bivio del santuario, invece il passaggio del Tour ha fatto il miracolo: il fondo è abbastanza buono, e sebbene nei primi chilometri faccia freddino, non c'è mai la sensazione di pericolo. Mi fermo di tanto in tanto a fare una foto nei punti più panoramici, supero il falsopiano al contrario, le serie di tornanti, i lunghi rettilinei fino alla dogana, i tornantini finali e il giro è finito. Sono stanchissimo, ma l'appagamento è di gran lunga maggiore della fatica, e credo di aver trovato la gamba giusta per non farmi più fregare da qui a fine stagione.
Nessun commento:
Posta un commento