Barrage du Chambon - Le Freney-d'Oisans - Auris - La Garde - Huez - Alpe d'Huez - Col de Sarenne - Clavans - Mizoën - Barrage du Chambon (Km 50)
Come cenare in un ristorante a tre stelle e scoprire che il piatto che ha reso celebre lo chef a livello mondiale viene addirittura superato dalle altre portate, meno note ma ancora più raffinate e succulente, da veri intenditori: è più o meno quel che mi è capitato nel primo giro di agosto, percorrendo uno splendido anello imperniato sulla mitica scalata dell'Alpe d'Huez, ma arricchito da un altro paio di autentiche chicche come i vertiginosi Balcons d'Auris e il col de Sarenne, scoperto di recente dal Tour de France e semplicemente imperdibile per chi sale all'Alpe. A fine giornata, il bagaglio di immagini e di emozioni che mi porto a casa è talmente colmo che la serpentina di tornanti più conosciuta al mondo si confonde nella serie di ricordi indelebili di uno dei percorsi più esaltanti e riusciti da che vado in bicicletta.
Tutto meravigliosamente perfetto, dunque, però tanta grazia va guadagnata e il prezzo da pagare è una trasferta molto lunga e resa faticosa dall'inagibilità del tunnel du Chambon all'altezza del lago da cui partirà il mio giro; l'alternativa è una stretta e tortuosa strada di soccorso che richiede un po' di tempo e di attenzione aggiuntivi, ma tutto sommato un disagio molto relativo, e in breve raggiungo la diga all'altezza del bivio per le Deux Alpes da cui partirà il mio giro.
Pronti via, e dopo un paio di chilometri di discesa raggiungo Le Freney-d'Oisans, dove sciolgo il dilemma della strada da seguire nella prima parte del percorso: la statale prosegue nel fondovalle della Romanche fino a Bourg-d'Oisans, ma da settimane sono tentato di salire ad Auris e quindi percorrere la stradina che si snoda parallela, 500 metri più in su, scavata su uno strapiombo tanto spettacolare quanto pauroso per chi soffre di vertigini al terzo gradino di una scala come il sottoscritto. Soprattutto mi intimorisce l'idea che i due chilometri più esposti siano in leggera discesa e che il parapetto sia un muricciolo alto meno di mezzo metro, ma alla fine prevale la voglia di avventurarmi anche lungo questa via, e la decisione sarà ripagata da un panorama a dir poco emozionante.
Prima però c'è da mettere a dura prova la gamba, perché i primi tre chilometri della strada per Auris salgono a una media tra il 10 e l'11%, e richiedono uno sforzo comunque controllato, visto che il grosso della salita arriverà più avanti. Scalata una mezza dozzina di duri tornanti, raggiungo una leggera contropendenza di un chilometro che mi permette di rifiatare, poi la strada riprende a salire regolare per qualche chilometro fino a raggiungere al chilometro 10 l'inizio della balconata. Sono due chilometri e mezzo straordinari, con le rocce sulla destra e il vuoto a sinistra; la fondovalle si trova a picco, mezzo chilometro più in basso, ma più che la vista sono i rumori ovattati del traffico a rendere meglio l'idea della profondità dello sbalzo. Di tanto in tanto, con la dovuta cautela, mi avvicino un po' al bordo per una foto, ma dopo qualche minuto è con un certo rimpianto che mi lascio alle spalle il tratto più ardito: la strada entra in un bosco e per circa tre chilometri scende con decisione fino a La Garde, dove si ricongiunge alla strada che sale all'Alpe all'altezza del tornante numero 16, avendo di fatto bypassato i primi cinque.
Da questo momento, inizia una seconda parte di percorso totalmente diversa: sono in uno dei maggiori templi a cielo aperto del grande museo del ciclismo, quello delle imprese leggendarie dei miti delle due ruote, da Coppi a Pantani passando per Bugno, solo per citare gli italiani, ed è infatti ai vincitori di tappa che sono intitolati i 21 tornanti più famosi nella centenaria storia del Tour. E' un'anonima mattinata infrasettimanale di inizio agosto, ma verso l'Alpe d'Huez si sta arrampicando una fila interminabile di appassionati di tutte le nazionalità; alcuni li raggiungo, altri mi passano, ma in tutti - me compreso - si legge la soddisfazione di stare faticando per sentirsi campioni per un giorno. La salita, dal canto suo, non sarebbe niente di particolare: costante intorno all'8%, con qualche passaggio duro soprattutto nei dintorni di Huez, ma in conclusione molto meno esigente di tante altre, e neppure l'altitudine intorno ai 1800 o i panorami, belli ma tutt'altro che unici, possono spiegare la magia che scaturisce e aumenta tornante dopo tornante, fino a raggiungere l'apice ai tornanti 3 e 2, dedicati alla doppietta del Pirata, che per qualche istante sembrano addirittura moltiplicare le energie.
Quando infine raggiungo l'abitato dell'Alpe, una sorta di Sestriere francese affollata di turisti e ciclisti, non posso fare a meno di infilarmi in una delle tante botteghe mangiasoldi per acquistare una bella maglietta commemorativa, prima di dissetarmi e scattare qualche foto ricordo. Ce ne sarebbe più che a sufficienza per ritornare a casa più che soddisfatto, ma il giro ha ancora tanto da dare e non poco da chiedere in termini di fatica, perché la scalata all'Alpe, per quanto affrontata con giudizio, è stata dispendiosa, e lo sforzo si farà sentire soprattutto adesso che il sole comincia a picchiare senza pietà.
Lasciato alle spalle il carnevale dell'Alpe con tanto di 'altoporto', si imbocca la strada rurale del col de Sarenne e nel giro di poche centinaia di metri ci si immerge in un ambiente incontaminato di alta montagna che stride fortemente con il caos della stazione sciistica: da questo momento, l'unica compagnia saranno prati, fiori, rocce e ruscelli, con sullo sfondo i ghiacciai della Meije. La strada sembra assecondare per alcuni chilometri l'ambiente solitario e rilassante del col de Sarenne, con pendenze moderate e una lunga contropendenza, ma gli ultimi tre chilometri di ascesa che portano ai 1999 metri del valico sono nuovamente impegnativi e richiedono l'impiego delle ultime energie prima di una meritatissima sosta al sole del rifugio a lato della strada, in uno dei contesti alpini più belli della zona.
Quando risalgo in sella, non resta che percorrere con prudenza i 13 chilometri di discesa molto tecnica e su fondo gibboso lungo lo spettacolare vallone che mi riporta a Mizoën e quindi alla diga dello Chambon, dove concludo un giro perfetto dal primo all'ultimo metro, che varrebbe la pena riproporre ancora in futuro, se solo la distanza fosse un po' più contenuta.
il meglio del giro
Difficile scegliere il meglio di un giro che rasenta la perfezione, ma i due chilometri dei Balcons d'Auris rimarranno a lungo nella mia memoria: una piccola deviazione dal percorso classico da non farsi assolutamente mancare per chi sale all'Alpe d'Huez
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