Demonte - Colle Fauniera - Demonte (Km 49)
Per la prima uscita di settembre la meta prescelta è il col de Vars, con aggiunta del col de Larche (versante francese del Maddalena) e possibile appendice nell'alta valle dell'Ubaye. È tutto pronto come sempre, ho studiato percorso, chilometraggio e altimetrie, e mi muovo alla volta dell'alta valle Stura per intraprendere questa nuova avventura. Sennonché, arrivato dalle parti di Cuneo propio nel momento il cui le nuvole stanno sgombrando il cielo preparandolo a una splendida mattinata di sole, mi rendo conto di non avere alcuna voglia di guidare e comincio a immaginare qualche soluzione alternativa: la prima che mi viene in mente è di limitare l'uscita al Maddalena partendo da Vinadio, o meglio ancora da Demonte, ed è a questo punto che mi si accende la luce.
Da Demonte parte anche la strada del vallone dell'Arma, e la fatica assurda che mi costò l'ultima volta, in una giornata infuocata di tre anni fa, mi è sempre rimasta nel gozzo. Beninteso, da qualunque parte lo si prenda il Fauniera è un osso durissimo, ma il vallone ha caratteristiche che in qualche modo mi si addicono, con un andamento abbastanza regolare e senza pendenze impossibili; caso mai, il dubbio me lo dà il mezzo, dal momento che per questa uscita dovrò fare affidamento sulla Cucchietti col suo 39x25 molto vintage, ma che nell'ultimo paio d'anni sta cominciando a diventare un po' troppo lungo per i miei polpacci. Alla fine, la voglia di rivalsa ha comunque la meglio e sarà ripagata da una giornata da ricordare in tutti i sensi.
Il Fauniera dal versante della valle Stura è composto da due salite di una dozzina di chilometri, una sopra l'altra. La prima, attraverso le borgate di Genet, Trinità e San Giacomo, è piuttosto discontinua, con rampe generalmente abbastanza brevi a doppia cifra, compensate a passaggi in ascesa moderata e da qualche contropendenza, come quella che si incontra al quarto chilometro. Se si evitano le forzature nei passaggi più impegnativi e si controlla il ritmo nei tratti pedalabili, i primi dodici chilometri (peraltro al fresco del bosco) scorrono via senza grandi problemi e senza limare troppo le energie che verranno bruciate a fiumi nella seconda parte, davvero molto impegnativa.
Arrivato alla soglia dei 1500 metri, un'improvvisa impennata della strada segna l'inizio dei dieci chilometri al 9% medio che portano fino al Valcavera. È un settore praticamente senza respiro, esposto al sole, su una stradina contornata solo da pascoli e rocce, con famiglie di pasciute marmotte a fare da spettatori a bordo strada, unico sollievo allo spirito mentre il corpo è messo a dura prova. Ricordo bene il punto in cui tre anni fa mi ritrovai improvvisamente svuotato di energie, e quando lo raggiungo avanzando lento ma senza alcun accenno di crisi, capisco che stavolta andrà molto diversamente. Il primo obiettivo è raggiungere i 1900 metri del rifugio Carbonetto, ma prima devo superare due ripidi tornanti e a metà della ripida rampa di raccordo vengo raggiunto da una macchina che avevo appena superato ferma a bordo strada: il fastidio è grande, perché in quel passaggio la strada è strettissima e sulla destra c'è la scarpata, e sentirsi incalzato mentre si sta producendo il massimo sforzo non è affatto piacevole, a maggior ragione se poi il frettoloso autista si ferma un'altra volta poche centinaia di metri più in su, all'altezza del rifugio.
Non ho neppure il tempo di archiviare mentalmente l'episodio che sento sopraggiungere alle mie spalle un'altra automobile (in 25 chilometri credo di averne incrociate al cinque o sei...): una rapida stima mi fa capire che sarò raggiunto proprio nel punto in cui la sede sradale è occupata nella metà di destra da un grande telo di nylon che dovrò forzatamente evitare, ma per fortuna questo secondo autista sembra più paziente del primo e mi sta a debita distanza fino a quando raggiungo il telo; nel momento in cui scarto a centro strada per evitare l'evidentisismo ostacolo, il tipo ha però la pensata di accelerare per sorpassarmi, frenando all'ultimo per non travolgermi e beccandosi un urlaccio da parte mia. Anche questo secondo guidatore, dopo avermi sorpassato, si ferma 100 metri più in là, scendendo poi dalla macchina per aspettarmi. Sto già immaginando un odioso battibecco a 2000 metri, invece l'autista ha quanto meno il buon gusto di scusarmi, giustificando il suo gesto col fatto che faceva troppa attenzione a me per accorgersi del telo di nylon...
Lasciati alle spalle questi due indesiderati incontri ravvicinati, posso tornare a concentrarmi solo sulla salita. Lo scattino che ho dovuto fare per evitare di farmi investire mi ha portto in eredità un leggero accenno di crampo al piede destro che mi assillerà per circa un chiometro, poi il disagio passa e riesco a impostare una cadenza abbastanza regolare per i successivi tre chlometri. Ai meno due, le rocce giallastre del Valcavera sono ormai ben visibili, ma per quanto mi sia ben amministrato negli oltre venti chilometri precedenti, le forze cominciano a calare come la mia andatura. L'ultimo chilometro, ancora al 10% medio, è durissimo, solo la vista del traguardo a poche centinaia di metri mi convince a non demordere, e seppure a prezzo di una grande fatica raggiungo il curvone a destra del bivio della Gardetta.
Manca ancora un chilometro e mezzo abbondante al Fauniera, ma l'unico tratto impegnativo è quello che porta allo scenografico passaggio scavato nella roccia, poi le difficoltà sono davvero tutte alle spalle e posso raggiungere il colle dei Morti e il monumento a Pantani, stanco ma soddisfatto per la bella impresa, neppure in preventivo fino a poche ore prima.
Per la discesa, rinuncio ai rischiosi versanti della val Grana e della val Maira e ripercorro a ritroso quello della valle Stura, che ha fama di picchiata da kamikaze dal giorno in cui Savoldelli la percorse a velocità supersonica, mentre è in realtà tra le più belle e sicure della provincia Granda. Nota a margine sulla discesa: nei primi tre chilometri, con carreggiata molto stretta, incrocio una decina di fuoristrada che uno alla volta, con grande senso civico e rispetto per il veicolo più 'debole', accostano sulla destra e si fermano in attesa del mio passaggio; un'occhiata alle targhe, sono tutte francesi e svizzere, luoghi comuni che trovano conferme sulla strada.
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