lunedì 21 settembre 2015

Dall'Engadina alla Valtellina


Sankt Moritz - Celerina - Pontresina - Passo del Bernina - Forcola di Livigno - Livigno - Passo di Eira - Passo di Foscagno - Bormio - Sondalo - Tiolo - Grosio - Grosotto - Mazzo di Valtellina - Tovo Sant'Agata - Lovero - Sernio - Tirano (Km 116)


Quattro 2000 al prezzo di uno e una trasferta di 300 chilometri per un giro impareggiabile sulle Alpi Retiche a cavallo tra Cantone dei Grigioni e Lombardia. Va da sé che un'uscita così fuorimano, per di più incastrata tra due giornate lavorative, richiede un'organizzazione accurata e una certa dose di fachirismo, e così si comincia trovando una sistemazione per la notte a Sernio (tre chilometri da Tirano) e si continua sobbarcandosi quasi quattro ore di macchina all'uscita dal lavoro per raggiungere il B&B in Valtellina.
Il mattino seguente, dopo una colazione abbondante al di là dell'appetito, raggiungo Tirano dove alla stazioncina delle Ferrovia Retiche acquisto il biglietto del trenino rosso fino a St. Moritz. Sono due ore abbondati di viaggio che penso di trascorrere leggendo tranquillamente il giornale, ma non appena il treno di mette in movimento diventa difficile scollare gli occhi dal finestrino, tanto ardito è il percorso e meravigliose le visuali prima sulla valle di Poschiavo e poi sui ghiacciai del Palü, del Cambrena e del Bernina; solo nel tratto finale del percorso comincia a crescere l'impazienza di scendere e cominciare finalmente una pedalata che dall'antipasto si preannuncia straordinaria.

Arrivato nel cuore dell'Engadina alla stazione di St. Moritz, mi concedo soltanto il tempo di una fotografia al lago prima di salire in sella e cominciare un'avventura che almeno nella prima metà sarà difficile da dimenticare. Mi trovo quasi a 1800 metri di quota e per un bel po' pedalerò a cavallo dei 2000 metri, su e giù per colli e vallate di rara bellezza. I primi cinque chilometri fino a Pontresina, su strada pianeggiante abbastanza trafficata, sono in realtà poco piacevoli, ma saranno gli unici deludenti del giorno, perché non appena si comincia seppur moderatamente a salire, l'atmosfera cambia e si entra velocemente nel contesto dell'alta montagna. Il Bernina da St. Moritz è una salita di difficoltà e spessore tecnico inversamente proporzionali al valore cicloturistico: 15 chilometri sostanzialmente dritti con pendenze che variano dal falsopiano al pedalabile non sono certamente uno spauracchio né un test significativo per verificare lo stato di forma, ma tutto sommato un approccio morbido è quel che ci vuole, in vista dei tanti chilometri in saliscendi che mi aspettano; in più, procedere senza troppo sforzo mi permette di apprezzare ancora meglio i sensazionali panorami che via via si aprono alla mia destra sull'imponente gruppo del Bernina, i migliori di una giornata che tuttavia riserverà ancora tante viste da cartolina.
Oltrepassati gli unici due tornanti della salita e superata quasi senza accorgermene quota 2000, la strada sale fino in vetta parallela alla ferrovia, mentre tutt'intorno è un spettacolo grandioso di picchi, laghi e ghiacciai: sarebbe valsa la pena venire fin qui solo per ammirare questa meraviglia, peccato solo qualche nuvola che sta cominciando ad addensarsi e rende meno perfetti i contorni delle montagne.
Raggiunto il passo del Bernina, Cima Coppi del giro coi suoi 2330 metri, è davvero una fatica convincermi a vestirmi e cominciare la discesa in val Poschiavo, consapevole che chissà quando tornerò da queste parti, ma in questo caso più che in altre occasioni il tempo non è illimitato e mi aspettano ancora quasi 100 chilometri di strada.
La discesa dura in realtà poco più di tre chilometri, poi abbandono la strada principale per svoltare a sinistra in direzione del confine italiano e di Livigno, separato dal territorio svizzero dalla risalita alla Forcola. Anche in questo caso, sono poco più di tre chilometri di ascesa, ma dopo un breve tratto poco impegnativo, a partire da una ripida serpentina, le pendenze si fanno decisamente impegnative, arrivando in qualche tratto a superare la soglia del 10%: è sicuramente questo il punto più difficile del giorno, anche perché alle oggettive difficoltà altimetriche si aggiungono i lavori di riasfaltatura negli ultimi due chilometri, con un fondo grattato che, per restare in tema svizzero, genera un indesiderato effetto "Tremola".
Non è comunque il caso di perdersi d'animo, perché lo sforzo è comunque di breve durata e con un po' di pazienza giungo a valicare senza troppi problemi anche la Forcola di Livigno, rientrando formalmente in Italia al chilometro 28.
La dozzina di chilometri in morbida discesa per arrivare a Livigno si snodano lungo un suggestivo altopiano prativo che ben giustifica l'appellativo di Piccolo Tibet che connota questo estremo lembo di Lombardia, mentre il centro abitato, per quanto privo di eccessi, toglie un po' di poesia a un luogo altrimenti incontaminato. Quando entro in paese, ho percorso ormai un terzo del percorso e si è nel frattempo fatta l'ora di pranzo, per cui decido di fermarmi in uno dei tanti locali aperti per un adeguato rifornimento. La temperatura è mite e posso impigrire un po' al sole mentre consumo un buon pasto a base di pizzoccheri e cervo, forse non il massimo della digeribilità, ma il giusto premio anche per il palato.
Ritornato in sella, il prossimo obiettivo da raggiungere è Bormio, distante poco meno di 40 chilometri, ma prima va scavalcato il doppio ostacolo in successione dei passi Eira e Foscagno, per un totale di circa dieci chilometri di salita inframmezzati da tre di discesa tra i due valichi. Con i suoi sei chilometri e mezzo al 6%, il passo d'Eira non può certo definirsi un mostro, ma dopo la sosta un po' di stanchezza comincia ad affiorare e la gamba sembra non girare bene come sul Fauniera cinque giorni prima, così imposto una cadenza tranquilla e regolare cercando di concentrarmi sulla strada, anche perché questa salita è panoramicamente la meno spettacolare delle quattro. Procedo con regolarità nella pineta e fortuna vuole che dopo circa un chilometro e mezzo, all'uscita da un tornante, davanti a me compaia la sagoma di un altro ciclista che pare salire con passo leggermnte inferiore. È un ottimo punto di riferimento e senza forzare mi faccio sotto nel giro di un chilometro: una volta raggiunto, constato che in effetti pedala più o meno un chilometro all'ora al di sotto del mio ritmo, ma per circa cinque minuti mi impongo di salire insieme a lui, finché nel momento in cui la pendenza si incattivisce per un breve tratto mi si stacca dalla ruota e da allora lo perdo di vista. Ancora un paio di chilometri in solitaria, e anche l'Eira è superato: non una gran salita, ma la vista che si apre una volta in vetta, con l'Ortles che spunta sullo sfondo, è ancora una volta di quelle che valgono la fatica.
Non so quanto sia corretto considerare l'Eira un passo a sé e non più semplicemente una prima parte di salita al Foscagno seguita da una profonda contropendenza, fatto sta che dopo poco meno di tre chilometri la strada ricomincia a salire per gli ultimi quattro chilometri e mezzo. L'ascesa riprende sulla falsariga dell'Eira, con pendenze regolari intorno al 6%, tranne un paio di passaggi intermedi vicini al 10% che richiedono un certo impegno, comunque di breve durata, prima che un paio di ampi tornanti introducano al rettilineo finale che porta ai 2290 metri del passo Foscagno, e con esso alla fine delle salite, dopo circa 55 chilometri di strada a lunghi tratti esaltanti.
I 25 chilometri di discesa che conducono a Bormio trascorrono senza problemi, con lo sfondo dell'Ortles che si fa sempre più ravvicinato, e quando infine transito per la cittadina termale fa un certo effetto incrociare nel giro di un chilometro le strade per lo Stelvio e per il Gavia, seppur dai versanti meno nobili. Per quanto mi riguarda, si tratta invece di proseguire per l'ultimo terzo del percorso ridiscendendo la Valtellina alla volta di Tirano, con la massima attenzione a schivare la statale infarcita di camion e di gallerie, per seguire la vecchia provinciale che attraversa i paesi.
I primi 15 chilometri fino a Sondalo, in un'alternanza di tratti in piano, in contropendenza e di inutili scivoli al 10%, sono battuti da una forte corrente ascensionale contraria che nei passaggi più esposti mi frena e costa fatica più di certi tratti in salita, ma proprio quando sto cominciando a pensare che gli ultimi 20 chilometri saranno tutt'altro che una passeggiata, il vento cessa e la discesa si fa regolare, tra il 3 e il 5%, l'ideale per sviluppare velocità senza sforzo. Attraverso uno alla volta i paesi di Grosio, Grosotto, Mazzo e Tovo Sant'Agata, da cui partono altrettanti versanti per il famigerato Mortirolo, e proprio quando sembra che le emozioni siano finite, vengo sorpreso da un inaspettato acquazzone; niente di ché, ma per un attimo sono tentato di fermarmi a Lovero, quando ormai mancano poco più di cinque chilometri al termine delle mie fatiche. Per fortuna, all'ultimo decido di proseguire, e di lì a un chilometro la mia perseveranza viene premiata dalla fine della pioggia, improvvisa com'era iniziata.
Non resta davvero che riguadagnare la statale e percorrere in scioltezza gli ultimi tre chilometri di un giro memorabile quanto dispendioso, che una volta alla macchina richiede altre quattro ore di viaggio per ritornare a Torino. Solo le fotografie, pallido esempio di tutta la bellezza appena lasciata alle spalle, possono rispondere alla domanda se ne sia valsa la pena.


il meglio del giro

Difficile dire cosa sia meno notevole in un percorso del genere, ma lo spettacolo del Bernina è uno dei più maestosi che ricordi in tanti anni di pedalate sulle Alpi.

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