Gignod - Etroubles - Saint-Oyen - Colle del Gran S. Bernardo - Saint-Oyen - Etroubles - Gignod (Km 53,3)
Prima di ieri ero salito al Gran S. Bernardo una sola volta, circa 15 anni fa. La ricordavo come una salita stupenda in un ambiente mozzafiato, e forse mi sbagliavo per difetto. Una giornata anche climaticamente perfetta consegna il Gran S. Bernardo (chissà se avrò ancora l'occasione di scalarlo) in vetta ai ricordi più belli di oltre 20 anni di passione a due ruote.
Da un po' di tempo coltivo l'idea di colmare i pochi buchi tra i giganti over 2000 di Piemonte e dintorni, ma per piantare nuove bandierine ci saranno altre occasioni: stavolta opto per l'usato sicuro e mai decisione si rivelerà più azzeccata. Da una settimana ho pianificato l'uscita nei dettagli, dagli orari al percorso in macchina, e ora non mi resta che attendere fiducioso il responso del meteo, che per martedì indica sole dopo qualche giornata coperta. Anche in questo caso, la fortuna mi dà una mano e la giornata che ne esce è limpida oltre le più rosee aspettative, ad assecondare e fare da splendida cornice a quello che fin d'ora posso eleggere a miglior giro dell'anno.
Per essere certo di pedalare nelle migliori condizioni possibili, punto la sveglia molto presto ed esco dalla città poco dopo le 6, con le ombre della notte che ancora stentano a diradarsi. Sono già dalle parti di Ivrea quando albeggia, e il panorama che minuto dopo minuto si svela intorno a me mi conferma che ho centrato una giornata ideale, non si vede traccia di nuvole né di foschia. poco prima di entrare in Val d'Aosta, un cartello luminoso mi allarma: il traforo del GSB è chiuso per frana, e siccome la prima parte della salita al colle è in comune con la strada che porta al tunnel, c'è il forte rischio di dover affrontare un deludente dietrofront. Decido comunque di proseguire, se poi dovesse andar male, studierò sul momento un piano B.
Il punto di partenza è fissato a Gignod, qualche chilometro sopra Aosta, per tagliare il tratto meno significativo e probabilmente più trafficato del percorso. In realtà, il messaggio di chiusura del traforo sembra aver dissuaso tutti dall'imboccare la statale 27, e anche sotto questo aspetto posso ritenermi fortunato: il traffico anche su questa strada di grande comunicazione è pressoché nullo. Tutto sembra funzionare come un orologio, e alle 8 sono pronto a salire in sella e muovere le prime pedalate.
La salita che mi aspetta è lunghissima, oltre 25 chilometri, ma molto regolare e con pendenze che di rado avvicinano o superano la soglia del 10%: non mi resta che prepararmi psicologicamente a reggere uno sforzo di due ore abbondanti e impormi soprattutto nei primi chilometri di non forzare l'andatura, nemmeno nei tratti in falsopiano che permetterebbero di spingere un rapporto più duro.
Il primo paio di chilometri, a freddo, è abbastanza impegnativo, con pendenze attorno al 6% che supero con calma gustandomi la vista sul Grand Combin, succoso antipasto dei meravigliosi scenari che di lì a poco mi si presenteranno davanti agli occhi; poi segue un lungo tratto di circa 5 chilometri attraverso Echevennoz ed Etroubles molto facile, con alcune curvoni quasi pianeggianti e una pendenza media tra il 3 e il 4% che affronto con cadenza men che turistica.
Ad Etroubles, un paio di tornantini velenosi conditi da un cartello che indica la pendenza massima del 10% segnano l'inizio della salita vera e propria dopo quella che può considerarsi una fase di riscaldamento. All'uscita dal paese, un lungo rettilineo all'8-9% rappresenta forse il punto di maggiore difficoltà dell'intera salita, per il resto i problemi potranno arrivare dalla resistenza o, più in su, dall'altitudine. Ho ancora il pieno di energie, e mi basta scalare il rapportino per qualche minuto per superare lo scoglio senza patemi e raggiungere in breve il paesino di Saint-Oyen, dove la strada si attesta su pendenze più regolari tra il 6 e il 7%.
Il sole ormai alto in questo tratto mi riscalda rendendo piacevolissima la pedalata, e nel giro di qualche minuto raggiungo il bivio per il colle: da quel che capisco, il traforo è in realtà aperto, mentre un altro cartello segnala strada interrotta per frana al km 34, che secondo i miei calcoli dovrebbe trovarsi già nel versante svizzero, ma in ogni caso ignoro il segnale e procedo determinato a raggiungere la meta, casomai a costo di fare qualche centinaio di metri di trekking. Se c'è un appunto da fare a questa strada altrimenti perfetta è la carenza di indicazioni 'ciclistiche': mai un avviso su pendenze o chilometri che mancano al colle, le uniche dritte arrivano dalla visuale che chilometro dopo chilometro si apre sulla strada ancora da percorrere.
Una successione di sei tornanti pedalabili introduce agli ultimi dieci e più impegnativi chilometri: sono più o meno a quota 1700, all'ombra quasi fredda di una pineta, e da questo momento la salita, sebbene mai imposisbile, non farà più sconti attestandosi su una pendenza media intorno al 7,5%. Quando giungo a incorciare l'ingresso del tunnel, la strada ha una breve impennata che mi fa uscire dalla vegetazione proponendomi davanti agli occhi la vista di tre impressionanti diagonali che da questa prospettiva sembrano ancora lontanissime e come sospese nel vuoto.
Sono a quota 2000 e la prima constatazione è che la strada è in condizioni perfette, larga e con un fondo liscio come un biliardo. È il momento di fare mentalmente il punto della situazione: le gambe rispondono ancora più che bene e non c'è traccia di fiatone, per cui scalo stavolta definitivamente il rapportino e attacco l'ultimo esaltante tratto di salita.
Intorno a me adesso ci sono solo prati, rocce, cielo azzurro e silenzio: la quint'essenza della sfida della bicicletta alla montagna. Ho superato la pietra miliare del chilometro 28, ne dovrebbero mancare poco più di cinque al colle, e procedo con discreta scioltezza mentre supero metro dopo metro anche il terzo interminabile drittone che dal basso mi era sembrato irraggiungibile. Sono mille gli scorci che meriterebbero di essere immortalati, mi limito a pochi scatti nei punti imperdibili, e infine raggiungo intorno a quota 2230 l'ultima casa cantoniera.
La salita non è però affatto terminata, mancano ancora tre chilometri abbondanti alla vetta e circa 250 metri di dislivello. I conti sarebbero presto fatti, ma non è tempo di calcoli: adesso l'aria è molto rarefatta, sento improvvisamente la pedalata più pesante, ma non sono mai andato oltre il limite e soprattutto sento di avere ancora una buona scorta di energia per arrivare alla meta senza troppe difficoltà. Attorno a me, la maestosità delle montagne e la vista delle ultime, impegnative ma ormai prossime, rampe della salita mi aiutano a stringere i denti e proseguire nello sforzo. Non ci sono parole per descrivere la bellezza della natura che accompagna la mia fatica.
Quando imbocco dopo tanta luce la galleria che precede di circa 500 metri l'arrivo al colle, ho l'unico vero momento di crisi: per un attimo sento la testa pesante e la vista leggermente appannata, ma anche in questo caso mi basta rallentare per qualche istante l'andatura per recuperare le forze e superare l'ultima rampetta prima che la strada svolti a sinistra e infine spiani a ridosso del laghetto e del confine in corrispondenza con lo scollinamento.
Inutile dire che anche da quassù la vista è semplicemente meravigliosa su entrambi i versanti e che lo spettacolo ripaga di mille volte lo sforzo compiuto. Mi infilo in un bar sul lato svizzero del colle, cioccalata calda e pelouchone di S. Bernardo per il pupo, e poi a malincuore è già ora di indossare guanti, gambali e giacca invernale per rientrare alla base, ma la giornata perfetta non poteva chiudersi senza un inconveniente: mentre cerco il punto migliore per scattare l'ultima foto-ricordo, un sibilo sinistro proveniente dalla ruota anteriore mi avverte dell'ennesima foratura della stagione. Troppo poco comunque per guastare il morale che torna alto quando infine riparto per affrontare una discesa bella e filante, facilissima anche per un negato come me.
Uno dei più belli e appaganti giri di sempre, di quelli che ti fanno pensare alle prossime avventure e disavventure con animo leggero, perché basta una giornata come questa, di quelle che arrivano forse una volta all'anno, per giustificare una passione pluridecennale e progettare nuovi giri, nuove scoperte e nuove fatiche per il futuro.
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