martedì 16 ottobre 2018

Il passo Giau


Selva di Cadore - Passo Giau - Pocol - Passo Falzarego - Passo Valparola - Passo Falzarego - Cernadoi - Colle Santa Lucia - Selva di Cadore (Km 56)


La Grande Bellezza. Se uno non ha mai visto le Dolomiti, salga al passo Giau; se uno non ha mai scalato un passo dolomitico, salga al passo Giau; se uno ha semplicemente voglia di spendere una giornata all'insegna dello sport e della meraviglia della natura, salga al passo Giau. Ci vogliono quasi sei ore di viaggio per raggiungere Selva di Cadore, la trasferta più lunga e insensata mai compiuta per un singolo giro (la suggestione di doppiarlo col Manghen il giorno dopo è tramontata in fretta), ma la meta è di quelle che non possono proprio mancare nell'album di un cicloturista.

Meno noto e meno storico di altri passi come il Pordoi, il Sella o il Rolle, il veneto passo Giau deve buona parte della sua recente fama alla Maratona delle Dolomiti, della quale rappesenta il passaggio più temuto, spartiacque tra i ciclisti più forti e quelli che devono accontentarsi dei percorsi breve o medio. Non essendo un frequentatore di granfondo e neppure uno di quei fachiri che inanellano colli su colli come fossero noccioline, da parte mia devo accontentarmi di misurare le forze col bilancino e cimentarmi su di un percorso 'minimo' per il contesto in cui mi muoverò, come chi alla sagra della birra desiste dopo la seconda pinta. Nondimeno, la qualità è tale che qualunque discorso sulla quantità risulterebbe fuoriluogo.
Tra Cadore, Ampezzano e Agordino, non è facile avere sempre chiaro in quale settore delle Dolomiti bellunesi ci si trovi, quello che è certo è che lo spettacolo dei monti pallidi è qualcosa di unico al mondo, e per chi ha poche occasioni di capitarci, ogni momento va assaporato fin dalla partenza, meglio se la giornata è baciata da un clima perfetto. L'unico lusso che mi concedo nella giornata è di prendermela con tutta calma, senza pensare che al termine del giro, comunque impegnativo, mi attenderà ancora la lunga strada del ritorno.
E' mattina inoltrata quando raggiungo Selva dopo una notte trascorsa in un paese vicino, e già dalla piazzetta antistante la parrocchiale si riesce ad avere una vaga idea del territorio che andrò a percorrere: a destra svetta la punta del Nuvolau che sovrasta scenograficamente il passo, a sinistra i verdi prati di Colle Santa Lucia sui quali chiuderò il giro tra qualche ora. Le primissime pedalate del giorno sono comunque in discesa per raggiungere dal centro del paese il bivio all'altezza del ponte sul Codalonga, ma dopo un solo chilometro si svolta a destra per attaccare il Giau, giustamente considerato, per durezza e continuità della salita, uno dei grandi spauracchi delle Dolomiti. Premesso che non si raggiungono mai le pendenze da ribaltamento del San Pellegrino e non si incontrano tratti interminabili sopra il 10% come sul Fedaia, si sta comunque parlando di 10 chilometri di ascesa al 9% di pendenza media con qualche picco, soprattutto nella parte iniziale al 12-13%. Dal punto di vista puramente tecnico, non siamo lontani dall'Agnello o dal Granon: uno sforzo molto prolungato e con pochi e brevissimi tratti per rifiatare, ma tutto sommato costante, che va affrontato con la testa prima ancora che con le gambe, per evitare brutte sorprese nel finale, quando anche l'altitudine ben sopra i 2000 metri aumenterà il senso di fatica. Diverso il discorso dal punto di vista paesaggistico, con la salita divisa sostanzialmente in due parti uguali: la prima metà, non particolarmente significativa, vede la strada risalire immersa in una pineta lussureggiante la valletta del Codalonga, balzando di qua e di là del torrente attraverso una serie di ponticelli; la seconda, in uscita dall'ennesima curva (il Giau conta una trentina di tornanti), presenta la progressiba scomparse della vegetazione ad alto fusto e di converso l'apparizione delle magnifiche sagome dei monti dolomitici, tra tutti l'imponente torrione del Nuvolau che da qui alla vetta sarà un presenza sempre più incombente e ravvicinata.
Non è forse un caso che l'unico vero momento di difficoltà sopraggiunga sul finire del sesto chilometro, quando la strada si infila in una galleria di circa 200 metri dritta come un fuso; senza il conforto visivo dei panorami di alta montagna, questo breve settore si rivela in tutta la sua crudezza di rampa a doppia cifra da superare metro dopo metro in attesa di tornare alla luce e allo spettacolo delle Dolomiti. Non so se quello fosse davvero il tratto più duro del Giau, di sicuro una volta uscito dal tunnel ritrovo un colpo di pedale più efficace, e seppure con la giusta fatica mi lascio alle spalle gli ultimi quattro chilometri senza altri momenti di sbandamento.
L'arrivo ai 2236 metri del passo è infine un premio impareggiabile alla fatica spesa per conquistare quest'ennesima vetta, una delle più belle e prestigiose della mia storia a pedali. Ovunque ci si giri, spuntano cime dai nomi e dalle storie leggendarie: la Marmolada e il gruppo del Sella, il Nuvolau così vicino da poterlo toccare, e poi le Tofane e i Lastoi con la Croda del Lago, per uno spettacolo a 360 gradi che ha pochi uguali in Europa. Unica pecca, ma è l'altra faccia della medaglia, il colle è intasato di turisti peggio di un mercato, con auto, pullman e moto a contendersi lo spazio a bordo strada e nei piazzali; inutile comunque recriminare, è il dazio da pagare per godersi un pezzetto di patrimonio Unesco, e il traffico del Giau non è il peggiore su cui mi sia imbattuto nella zona.
Come e più che in altri luoghi, arriva dunque troppo presto il momento di risalire in sella e proseguire il mio giro alla volta di Cortina. La discesa dal passo a Pocol è un po' meno lunga e meno ripida della salita, ma proprio percorrendo all'ingiù il versante meno severo ci si rende conto della durezza di quello appena scalato. La strada è comunque sempre ampia e sicura, e in breve si raggiunge si raggiunge il bivio di Pocol. Ignorando a destra le indicazioni per Cortina, si imbocca senza soluzione di continuità la strada che in capo ad altri 10 chilometri porteranno al secondo GPM di giornata, posto ai 2105 metri del passo Falzarego. Salita completamente diversa dalla precedente, il Falzarego presenta per lunghi tratti pendenze modeste e si presta (sempre in termini relativi) a sviluppare una certa velocità. Niente di meglio, in questi casi, che salire in compagnia, ed è dopo circa tre chilometri che riesco ad agganciare la ruota giusta, un ciclista ceco che partito da Arabba sta facendo più o meno il mio percorso. Qualche chiacchiera per fare reciproca conoscenza, e poi troviamo un buon accordo per proseguire insieme la salita. Con cambi regolari, superiamo in buona scioltezza un chilometro dopo l'altro, col paesaggio che anche in questo caso diventa sempre più ampio e grandioso man mano che si sale, fino a giungere, all'altezza del passo, ai piedi del monte Lagazuoi.
I tanti chilometri di salita già percorsi e qualche passaggio comunque impegnativo anche nel finale del Falzarego hanno di fatto quasi esaurito la mia scorta di energia, ma proprio sulla destra del passo si dirama la strada che nel giro di poco più di un chilometro conduce a un altro passo, il Valparola, noto in ladino col nome "Intrà i Sass" per essere posizionato tra un numero impressionante di massi erratici. Poche centinaia di metri oltre il passo, che si raggiunge al termine di una salita breve ma dura, si trova poi una vecchia fortificazione, oggi sede del Museo della Grande Guerra, ed è qui che giro la bicicletta per tornare al Falzarego e cominciare la lunga e filante discesa nel versante agordino che dopo 15 chilometri mi porterà al bivio per Colle Santa Lucia.
E' l'ultimo sforzo di una giornata straordinariamente intensa, ma qualche racconto letto in giro mi consiglia di non prendere sottogamba il paio di chilometri di salita che ancora mi separano dall'ultimo scollinamento verso il traguardo di Selva. Le forze in effetti sono quelle che sono, e rispetto al falzarego procedo ad andatura ridotta, ma non è a questo punto un problema: sono anzi in leggero anticipo sulla mia tabella di marcia, e prima di chiudere un anello di rara bellezza mi concedo ancora un paio di brevi pause per godermi la vista sulla val Cordevole fino al lago di Alleghe e per assaporare un buon panino con birra in un chiosco del paese.
Tornato alla macchina con un carico di ricordi ed emozioni, il lunghissimo viaggio di ritorno mi riporta troppo in fretta alla dura realtà, chiudendo una breve parentesi di bellezza in coda a un'estate più travagliata che mai.


il meglio del giro

Un percorso di cui non si butta via un metro, ma lo spettacolo degli ultimi chilometri del Giau è qualcosa che sovrasta tutto il resto e che mi resterà a lungo scolpito nella mente.

Nessun commento:

Posta un commento