giovedì 2 agosto 2018

Il col d'Allos


Barcelonnette - Col d'Allos - Barcelonnette (Km 40)


Il col d'Allos, gigante delle Alpi Marittime sopra Barcelonnette al pari dell'attiguo col de la Cayolle, è noto soprattutto per il suo aspetto da Giano bifronte: tanto docile e innocuo in salita, quanto insidioso al limite della pericolosità in discesa, fama quest'ultima accresciuta dal recente passaggio del Tour, che tutto estremizza in una corsa alla spettacolarizzazione insensata di uno sport che da sempre si fonda sui valori ben più sostanziali della resistenza e della fatica. Fatto sta che quando parto prima dell'alba per la Francia, sotto un autentico nubifragio, l'idea che ho in testa è che sto per affrontare una delle strade più pericolose dell'arco alpino, ma questo è un buon giorno per sfidare le mie paure da discesista negato, facendo correre le ruote della bicicletta a un passo dal baratro. Sì, perché il tratto caratterizzante dell'Allos sono cinque chilometri scavati nella roccia, col vuoto sulla destra schermato solo dai tipici muriccioli francesi, mezzo metro che in caso di sbandamento non offrono alcuna protezione.

Prima di mettere alla prova nervi e freni in discesa, c'è però da salire in vetta, e prima ancora raggiungere il punto di partenza fissato a Barcelonnette. Quando a Cuneo mi trovo dentro un temporale violentissimo, qualche dubbio mi sale, ma basta imboccare la valle Stura per capire che le previsioni di una mattina soleggiata in montagna sono corrette e che il meteo non mi giocherà brutti scherzi.
Dopo tre chilometri in piano fino alla diramazione Allos - Cayolle, la salita comincia subito abbastanza vivace. La strada è larga e dritta, ma basta dare un'occhiata all'ingiù, dove scorre il Bachelard, per rendersi conto che si sta guadagnando rapidamente quota. Quando poi, dopo circa un chilometro, ci si lascia alle spalle il bivio per Pra Loup, la strada entra nel bosco, si riduce della metà e assume connotati tipicamente alpini. Per un paio di chilometri abbondanti si prosegue su pendenze regolari intorno al 7%, e in questo settore comincio a notare che nei lunghi tratti in ombra la strada è ancora bagnata per le piogge del giorno prima, ma per ora si sale e non ci sono problemi.
Sembra di pedalare lungo una strada del tutto ordinaria finché, improvvisamente, si raggiunge il Pont du Fau, ardito attraversamento di un orrido piuttosto spaventoso, se non altro protetto da barriere più che rassicuranti. Da questo momento, iniziano però i cinque chilometri più caratteristici e spettacolari dell'Allos: la pendenza diminuisce progressivamente fino ad attestarsi su percentuali prossime al 5%, ma la strada è scavata a mezzacosta di un versante roccioso che scende a picco a fondovalle, con uno strapiombo profondissimo a sinistra del mio senso di marcia. Non siamo ai livelli di vertigine del vallone d'Elva o dei Balcons d'Auris, ma poco ci manca; in compenso, constato subito che la carreggiata è più larga di quanto mi fossi figurato e che il fondo stradale è asciutto, pulito e in condizioni più che buone, aspetti destinati a ridurre sensibilmente la pericolosità della discesa.
Per il momento, mi limito comunque a salire di buon passo tenendomi prudentemente sul lato destro fino a raggiungere un altro ponticello all'altezza di un tornante poco prima della località di Les Agneliers, in corrispondenza del quale termina la parte più scenografica, ma comincia quella tecnicamente più probante, non fosse altro perché coincide con la seconda metà della salita, che in un periodo di scarso allenamento come quello che sto attraversando rappresenta in sé una difficoltà aggiuntiva.
In realtà, le pendenze si mantengono intorno al 6-7%, solo che le energie sono poche e ai meno quattro, quando raggiungo la soglia dei 2000 metri, comincio a sentire un po' di pesantezza. E' proprio a questo punto che alle mie spalle vedo sopraggiungere una ciclista discretamente attempata che mi svernicia a doppia velocità e che, accortasi probabilmente del mio sconforto, mi fa notare il suo motorino elettrico: "Non sono Froome!". Una battuta simpatica che tuttavia non scioglie i miei dubbi sul marchingegno tecnologico, dubito che ne farò uso quando le gambe da sole non ce la faranno più a vincerla sulla forza di gravità.
Non provo nemmemo a tenere la sua ruota e procedo regolare mantenendo il mio ritmo fino a circa un chilometro e mezzo dal colle, quando un aumento della pendenza all'8% e l'aria rarefatta dell'alta montagna mi impongono un'ulteriore diminuzione della cadenza. La stanchezza si fa sentire per la prima volta, ma ormai manca poco alla vetta che raggiungo faticosamente in capo a qualche minuto. Al colle, la temperatura è frizzante e il panorama bello ma tutto sommato abbastanza ordinario a queste quote, e in ogni caso meno imponente rispetto alla vicina Cayolle, motivo per cui non vale la pena soffermarsi troppo, ma piuttosto entrare nell'ordine di idee che sto per affrontare una delle discese più famigerate dell'arco alpino, alla fine una delle ragioni per cui me ne ero sempre tenuto lontano. La prima metà della discesa è assolutamente normale, mi rendo conto che nelle parti in ombra fa piuttosto freddo e l'asfalto bagnato è piuttosto insidioso, ma il pensiero non può che andare continuamente a quei cinque chilometri col burrone alla mia destra, non proprio l'approccio ideale per razionalizzare una paura.
Quando infine arriva il momento della verità, si conferma una volta di più una vecchia regola che ho imparato in tati anni di bicicletta: nessuna strada, una volta che la si percorre, è brutta e pericolosa come ce la si può figurara attraverso foto, video o racconti, perché alla fine il mezzo va dove lo porti tu, e bastano concentrazione e un po' di prudenza per limitare al massimo i rischi. Nella fattispecie, la pendenza ridotta e l'ampiezza della strada sufficiente a permettere facili incroci con le poche poche macchine che si incontrano, rendono anche questo passaggio meno eroico di quanto immaginassi, e anzi in qualche punto mi concedo qualche buona traiettoria in curva.
L'attraversamento del pont du Fau segna di fatto la fine del giro, col veloce rientro a Barcelonnette, dove un gruppetto di bambini che giocano a pallone in piazza mi ricordano che "loro" sono campioni del mondo: mezzo minuto di rosicamento, poi è ora di ritornare al travaglio usato.

il meglio del giro

Il tratto di discesa esposto, alla fine esorcizzato e derubricato da allarme rosso ad arancione pallido.

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