venerdì 28 luglio 2017

Il passo del Rombo


Moso in Passiria - Passo del Rombo - Moso in Passiria (Km 45)


Timmelsjoch. Forse è per la severa dizione tedesca del passo o più probabilmente per le recensioni lette qua e là, unanimemente concordi nel descriverlo come una delle salite più dure delle Alpi, fatto sta che non mi sono mai avvicinato a un giro con la soggezione che mi incute il Rombo, gigante di 2500 metri al confine tra Sudtirol italiano e Tirol austriaco, situato tra i molto più morbidi Resia e Brennero. Sono un paio di mesi che mi preparo scrupolosamente, sono salito a quote ancora più elevate, ho percorso itinerari molto più lunghi e scalato colli di analoga difficoltà, eppure non sono affatto sicuro di farcela; ce la metterò tutta perché non mi darò mai una seconda possibilità, ma la lunghezza della salita, le percentuali da capogiro nella prima e nell'ultima parte, l'altitudine, le 18 gallerie buie, i passaggi da brivido con lo strapiombo a mezzo metro senza protezione, il freddo che probabilmente patirò in quota e la fatica che sicuramente mi attanaglierà negli ultimi chilometri, tutto questo insieme forse sarà troppo anche per la mia voglia di conquistare l'ennesimo traguardo. Unica concessione ai miei timori, il taglio dei primi, facili e trafficati sei chilometri e mezzo di salita, con conseguente partenza da Moso invece che da San Leonardo, ma si tratta in realtà di un alleggerimento soltanto psicologico, perché è appunto da Moso che comincia la salita vera, che terminerà solo dopo 22 lunghissimi chilometri.

Chi si avvicinasse al Rombo leggendo solo lunghezza e pendenza media (poco sotto il 7%), commetterebbe tuttavia un grave errore, perché i dati sono alterati dalla presenza, a metà salita e al suo termine, di due tratti di quattro e due chilometri poco più che in falsopiano, sicché il Rombo è in realtà la somma di due salite di otto chilometri ciascuna con pendenze molto vicine al 10% e punte al 13-14; a questo si aggiunga che la seconda di queste salite si snoda dai 1700 ai 2400 metri, e il quadro è bell'e pronto: ci sarà da soffrire, molto.
Mentre mi preparo per partire, nella piazzetta di Moso si sta assembrando un po' di gente per un funerale, una coincidenza sinistra, ma ormai è il momento di lasciare la parola ai fatti, cioè ai pedali. Secondo le mie stime, mi ci vorranno non meno di due ore per raggiungere il passo, e quindi mi aspetta una prova non banale anche a livello mentale, e fin dalle prime pedalate bisognerà essere ben concentrato sulla strada per dosare al meglio le forze. In questo senso, la partenza da Moso rende le cose un po' più complicate, perché dovrò affrontare a freddo un abbrivio molto difficile, coi primi tre chilometri e mezzo con pendenza vicina al 10%.
E' da un mese, dalla scalata al colle dell'Agnello, che non affronto salite così dure, ma in quel caso mi ero almeno concesso qualche chilometro di riscaldamento; qui si tratta invece di rompere subito il fiato e sottoporre i muscoli ancora a riposo a uno sforzo intenso e prolungato. La strada guadagna quota sul torrente Passirio attraverso quattro ripidi tornanti, il primo chilometro mi sembra durissimo e lo supero dovendo alzarmi più volte sui pedali, poi piano piano trovo il mio ritmo e lentamente procedo rampa dopo rampa, superando le prime brevi gallerie. Non credo che le pendenze siano diminuite rispetto al primo chilometro, anzi alcuni passaggi mi pare che siano parecchio al di sopra del 10%, ma so che dopo i primi tre chilometri la salita concederà un po' di respiro ed è su questa idea che mi concentro.
In effetti, i cinque chilometri successivi sono ancora molto impegnativi, in particolare l'ultimo, ma adesso di tanto in tanto si incontra qualche passaggio più leggero che permette di rilassarsi qualche momento in attesa di altre rampe più dure. In questo lungo tratto che risale a mezza costa la val Passiria sul versante orientale, si attraversano alcune gallerie di media lunghezza nelle quali ho modo di testare il fanalino di cui ho deciso di dotarmi dopo l'esperienza sul Gavia dell'anno scorso: niente di ché, ma almeno i tre metri davanti al manubrio non sono neri come il carbone.
Dopo otto chilometri di salita a tratti asfissiante, la strada improvvisamente spiana e per quattro chilometri procede quasi pianeggiante, uscendo presto e definitivamente dalla pineta: è un lungo settore nel quale riposare, riordinare le idee e godermi finalmente i primi panorami sull'alta valle, ma anche in questi momenti di relax è impossibile non alzare lo sguardo sull'impressionante parete rocciosa che incombe in alto a sinistra, dove sono già ben visibili gli impressionanti tornanti che scandiranno la seconda e ancor più difficile parte della salita. Come sempre quando si osserva una salita dal basso, sembra impossibile potersi arrampicare fin lassù senza essere un camoscio.
La lunga tregua termina poco prima di attraversare un ponticello sul Passirio. Da questo punto si abbandona il corso del torrente e ci si arrampica sul versante occidentale puntando direttamente la linea di confine con l'Austria. Per circa un chilometro e mezzo, si sale ancora su pendenze normali intorno al 7%, poi, a otto chilometri dal passo, comincia la parte più massacrante della salita. Per due chilometri a cavallo dei 2000 metri si sale su pendenze costantemente superiori al 10% superando una bella serie di tornantini ravvicinati. Fa impressione buttare l'occhio all'ingiù e vedere la strada appena percorsa già 300 metri più in basso, consapevole allo stesso tempo che ne mancano ancora più di 400 per raggiungere il colle.
Lasciata alle spalle con grande fatica la serie di tornanti, per un buon chilometri la salita prosegue su pendenze moderate in direzione del quartultimo tornante, poco prima del quale raggiungo un altro ciclista. Sarebbe un punto strategico, visto che da lì hanno inizio altri tre chiloemtri al 10%, e poter salire in compagnia almeno per un pezzo aiuterebbe non poco. Purtroppo, il ciclista che avanzava a una velocità non molto inferiore alla mia, proprio in quel momento decide di concedersi una pausa, e a me non resta che procedere in solitaria.
Per un chilometro e mezzo, la strada disegna una lunga e ripida traversa verso sinistra che percorro a costo di una grande fatica, poi raggiungo finalmente il terzultimo tornante, a un chilometro circa dall'imbocco della lunga galleria che segna di fatto la fine della salita. Mancano soltanto tre rampe intervallate dagli ultimi due tornanti, ma adesso sento per la prima volta una notevole pesantezza nelle gambe, e ogni giro di pedale sembra più faticoso del precedente; sono momenti quasi inevitabili quando si scala un ostacolo di questa portata, ma ormai ho capito che è fatta e che è andata anche meglio del previsto, non resta che stringere i denti, appellarsi alle ultime energie e raggiungere infine l'imbocco della galleria di 555 metri, l'ultimo grande spauracchio del Rombo.
In realtà, anche la galleria è molto meno claustrofobica di quella del Gavia, perché è dritta e pianeggiante, se ne vede il fondo in lontananza e tutto sommato è sufficientemente illuminata. Il mio timore di essere assordato dal frastuono delle moto è inoltre infondato, perché il traffico motorizzato è ridottissimo e riesco a percorrerla tutta di un fiato senza intoppi. Quando poi si esce dal tunnel, lo spettacolo che si apre davanti agli occhi, già notevolissimo in precedenza, lascia senza fiato: si abusa un po' di termini come "selvaggio" o "lunare", ma qui è difficile trovare aggettivi per descrivere la strada che si fa largo tra rocce imponenti, senza nemmeno più un filo d'erba ad addolcire un paesaggio così aspro eppure meraviglioso. Se penso che Oetzy è stato scoperto da queste parti, non fatico a capire come possa essere rimasto a riposare sotto il ghiaccio per qualche migliaio di anni.
Un breve tratto sterrato a causa di lavori e le ultime due brevissime gallerie in falsopiano segnano un ultimo chilometro facilissimo, prima che una semicurva in moderata salita conduca infine ai 2500 metri del passo, su cui dal versante austriaco sembra arrivare qualche nuvola innocua. Inutile dire che la soddisfazione è enorme, un altro traguardo nella mia carriera cicloturistica è raggiunto ed ora non mi resta cercare di immortalare l'evento con qualche foto, coprirmi adeguatamente e chiudere la mia tre giorni altoatesina con una tranquilla discesa, lungo la quale gustarmi con più calma la bellezza del parco naturale del Tessa. Tra uno scatto e una sosta, ho appena superato i tornantini quando sopra la mia testa risuona un tuono improvviso e isolato: tempo un minuto e mi rendo conto che le nuvole che si addensavano sul passo non erano così innocue, nel giro di due curve comincia piovere a dirotto e la temperatura si abbatte di almeno 10 gradi. La discesa, che di per sé era piuttosto tecnica, diventa una trappola scivolosa. A ogni galleria che incontro sono tentato di fermarmi in attesa che spiova, ma non ho idea di quanto possa durare un temporale da queste parti e a fine giro mi attende ancora il lungo viaggio verso casa. Non resta che rassegnarmi a finire infreddolito e inzuppato, e scendere a valle con la massima cautela. A Moso non è nemmeno piovuto, è evidente che l'acquazzone è stata la risposta del Rombo all'affronto subito: una montagna del genere puoi scalarla, ma non uscirne indenne.


il meglio del giro

L'apoteosi finale dell'ultimo chilometro e mezzo dopo l'uscita dalla galleria, uno spettacolo inquietante e indimenticabile che andava vissuto.

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