giovedì 15 giugno 2017

Metabolizzare Cardiff: il colle dei Morti


Dronero - Cartignano - San Damiano Macra - Macra - Stroppo - Ponte Marmora - Marmora - Colle d'Esischie - Colle Fauniera - San Giacomo - Trinità - Demonte - Moiola - Gaiola - Borgo San Dalmazzo - Vignolo - Cervasca - Caraglio - Pratavecchia - Dronero (Km 109)


Le sberle di CR7 e il disastro di piazza San Carlo sono ferite che bruciano ancora. In caso di esito diverso della serata di Cardiff e del suo contorno a Torino, avrei puntato le ruote verso il Monte Bianco per celebrare la tanto agognata ascesa al tetto d'Europa, invece tocca fare i conti con un'altra disfatta, e dunque quale meta più metaforicamente significativa del colle dei Morti, meglio noto con l'asettico pseudonimo di Fauniera?
Come un pellegrino in cerca di redenzione, predispongo un percorso irto di difficoltà che vivrà il suo momento catartico ed esaltante tra gli alti valloni di Marmora e dell'Arma, dove sole, neve, vento e silenzio premieranno perseveranza e fatica con una delle più memorabili giornate che abbia mai vissuto a cavallo della bicicletta, col solo pubblico delle numerose famiglie di pasciute marmotte che spuntano e scorrazzano ai bordi della strada.

Dopo alcuni giorni perturbati che hanno riportato le temperature a livelli accettabili, quella di mercoledì si annuncia come una delle giornate climaticamente migliori dell'anno, e ne approfitto per pianificare un'uscita coi fiocchi: partenza da Dronero, risalita della valle Maira, scalata dell'Esischie dal vallone di Marmora, scollinamento al Fauniera, discesa in valle Stura attraverso il vallone dell'Arma e rientro nel paese degli acciugai dopo 110 chilometri ad altissima intensità.
La prima parte del percorso, prima ancora dell'attacco alla salita, prevede 25 chilometri di riscaldamento lungo la tortuosa e affascinante strada della valle Maira, dove della conservazione di un ambiente naturale intatto si è fatta un'autentica bandiera. Ne risulta che dopo i passaggi a Cartignano e San Damiano, imbattersi in una presenza umana in un giorno feriale diventa un evento quasi eccezionale, con i pro e i contro che ognuno può valutare.
L'andamento di questo primo quarto è abbastanza regolare, un lunghissimo falsopiano che tra chilometri quasi pianeggianti e altri un po' più pendenti ma mai impegnativi si porta in dote i primi 350 metri di dislivello, una risalita modestissima che grazie a un leggero vento a favore nella seconda parte scorre via senza nessuna difficoltà, consentendomi di raggiungere il bivio di Ponte Marmora avendo rispettato il ruolino di marcia, e soprattutto evitato di disperdere energie inutilmente.
La salita al colle di Esischie, stretta tra altre di maggior fama e difficoltà, è una delle meno reclamizzate della provincia Granda. Considerato il terzo versante del Fauniera, fatica in effetti a reggere il confronto con quelli della val Grana e della valle Stura, ma vanta a sua volta numeri di tutto rispetto: 20 chilometri di lunghezza al 7% di pendenza media, non presenta lunghi tratti a doppia cifra, tuttavia tre o quattro brevi sbalzi nella parte centrale hanno pendenze davvero micidiali, anche superiori alle massime che si incontrano negli altri due versanti. Dal punto di vista del paesaggio, poi, la larga conca che si raggiunge alla testata del vallone dopo essere usciti dalla pineta è qualcosa di meraviglioso, coi pascoli erbosi contornati da pareti rocciose e il profilo del Monviso che svetta dalla parte opposta, a chiudere le linee delle montagne delle valli Varaita e Po: uno spettacolo che le foto riescono a descrivere solo in parte e che a mio avviso rappresenta uno dei luoghi più belli raggiungibili su strada asfaltata di tutte le Alpi Piemontesi.
Siccome tutto ha un prezzo, tocca come sempre spremere un bel po' di sudore, cominciando con i primi tre chilometri di salita che portano all'abitato di Marmora con pendenze discrete nel primo e nel terzo e leggere nel secondo, tutto sommato quello che ci vuole per testare la buona efficienza delle gambe. Arrivato al tornante di fronte all'ingresso della borgata, la sorpresa è leggere il cartello "chiuso" apposto al segnale in legno che indica il colle d'Esischie: siccome manco da questa strada da qualche anno e ne ricordo il pessimo stato di conservazione nel settore centrale, il primo pensiero è che qualche tratto sia definitivamente franato o che siano in corso dei lavori; in ogni caso, piani alternativi non ne ho e decido di proseguire, a costo di scavalcare l'eventuale ostacolo bici in spalla.
Nel frattempo, lasciato il paese alle spalle, la strada procede su pendenze dure ma costanti fino alla borgata di Arata, per poi addolcirsi nei chilometri che precedono e seguono Tolosano, l'ultimo piccolo centro abitato del vallone. Sono all'incirca a metà salita e tutto sta andando meglio del previsto, ma a questo punto comincia la parte più difficile del percorso. La strada, che fino a questo punto ha risalito la valle a mezza costa con andamento abbastanza rettilineo, nei tre chilometri successivi scavalca il costone a sinistra del torrente attraverso una decina di impegnativi tornanti con pendenza media al 9%, un dato di per sé degno di rispetto, ma che non rende pienamente l'idea di cosa si sta per incontrare.
Se la gran parte di questo tratto si mantiene infatti ripido entro livelli ragionevoli, alcune rampette tra il terzo e il quinto tornante, e in particolare un brevissimo passaggio prima del decimo, presentano pendenze terrificanti, ben sopra il 15%, e l'ultima direi ben sopra il 20. Sono sforzi massimi ogni volta di pochi secondi, perché poi si ritorna su pendenze normali e ci sarebbe margine di recupero, ma i chilometri passano, la salita resta comunque dura, ci si avvicina alla soglia critica dei 2000 metri e i muscoli, una volta iniettati di acido lattico, hanno perso un po' di elasticità.
Superato finalmente l'ultimo tornante della serie, la strada torna a risalire la parte superiore del vallone. Per un paio di chilometri, fino all'indicazione del sentiero per il lago Resile, si entra ed esce dalla pineta incontrando di tanto in tanto qualche baita isolata. Questo tratto, caratterizzato da pendenze regolari, permette di tirare il fiato prima di affrontare l'ultimo quarto della salita, quello che in definitiva "vale il prezzo del biglietto".
Mancano poco meno di cinque chilometri al colle quando finalmente si esce dal bosco per raggiungere la conca superiore del vallone, un ampio altopiano che andrà aggirato nella sua interezza con un lungo giro ascendente da destra verso sinistra, e infine, dopo un ultimo tornante, scavalcato con una traversa finale che conduce allo spartiacque tra la valle Maira e val Grana.
Il chilometro che porta alla testa del vallone, dove si trova l'ultima baita adibita ad alpeggio estivo e parte la mulattiera per il col del Mulo, è uno dei più facili di tutta la salita, e permette di fare mente locale e godersi al contempo lo spettacolo impareggiabile dell'alta montagna. Ho incontrato l'ultima coppia di esseri umani nei pressi del lago Resile, da questo momento e fino al Fauniera ci siamo solo io, la mia bicicletta e le marmotte padrone di casa a condividere un ambiente e un silenzio sublimi e irreali.
I chilometri scorrono lenti sotto le mie pedalate faticose ma costanti, quello che è mancato alla squadra dopo il fuorigiri del Millennium Stadium, la gestione razionale delle risorse nel momento della difficoltà, l'attesa lucida e paziente dell'occasione propizia che altre volte ti ha permesso di passare indenne al Bernabeu, al Camp Nou, o - nel mio caso - alle ultime tremende rasoiate di un colle alpino.
A questo sto più o meno pensando quando, dopo una semicurva a poco più di mezzo chilometro dal passo, capisco infine il senso del cartello di chiusura del valico incontrato a inizio salita: un residuo accumulo di neve a bordo strada riduce la larghezza del passaggio a un lungo corridoio di poche decine di centimetri. Per fortuna, in quel punto, la scarpata è molto dolce e con la dovuta attenzione riesco a procedere senza scendere di sella. E' l'estremo ostacolo che la strada frappone prima dello scollinamento, che a questo punto raggiungo senza ulteriori problemi. Al colle, più dei panorami grandiosi sulle due valli sottostanti, quello che più mi incanta è ancora una volta il silenzio assoluto, dove gli unici suoni di sottofondo sono l'armonia del vento e il ronzio di qualche raro insetto. Per qualche minuto assaporo la conquista di questi momenti e di questa condizione così lontana dalla normalità della vita civile, poi è di nuovo ora di concentrarsi sulla strada, perché la fatica non è ancora terminata e le sorprese non sono ancora finite.
Le poche decine di metri che scendono dall'Esischie alla strada che sale da Castelmagno al Fauniera sono nuovamente coperte da un accumulo di neve, e stavolta sono costretto a superare l'ostacolo a piedi, prima di affrontare l'ultimo chilometro e mezzo di salita, ancora al 10%. Il colle con il monumento a Pantani sembra raggiungibile allungano semplicemente la mano, ma so bene che non è così e che arrivarci mi costerà ancora qualche minuto di sofferenza, stavolta diluita da un altro paio di brevi passaggi ingombri di neve, dove devo nuovamente scendere dalla bici, ma oggi più che mai anche per me ha un senso il motto "Fino alla fine" e dopo 47 duri chilometri eccomi al traguardo del colle dei Morti, 2480 metri di altitudine, e una bellezza e una soddisfazione difficili da contenere e descrivere.
Mi concedo un'altra sosta per coprirmi adeguatamente, riprendere fiato e guardarmi intorno cercando di catturare la maggior quantità di immagini possibili, perché è difficile da queste parti azzeccare una giornata tanto tersa e luminosa, poi arriva il momento di rimontare in sella e cominciare la lunga discesa verso Demonte e la valle Stura.
I primi due chilometri fino al Valcavera sono letteralmente strappati alla roccia e disseminati di pietre aguzze che mi obbligano a uno slalom prolungato per evitare di guastare con una foratura una giornata fin qui perfetta. Per fortuna, stavolta non ci sono inconvenienti, e dopo qualche minuto comincio la discesa del vallone dell'Arma, che a dispetto della sua cattiva fama continuo a considerare come una delle più belle e meno pericolose della zona.
Dopo qualche chilometro abbastanza tecnico e un altro breve "portage" causato dalla neve, la strada, in condizioni più che buone, diventa filante e divertente fino a San Giacomo e Trinità, dove a scanso di equivoci mi fermo a mangiare per recuperare un po' di energie in vista dei 40 chilometri finali, tutti in leggera discesa e pianura, ma che potrebbero riservare brutte sorprese in considerazione del grosso dispendio precedente e del caldo che a bassa quota sta tornando asfissiante.
Sceso a Demonte, cominciano i 20 chilometri lungo la bassa valle Stura che più mi intimoriscono, perché il leggero andamento a scendere invita a tenere una velocità discretamente elevata e per esperienza so che nei lunghi rettilinei dovrò fare i conti con un po' di vento contrario. Mi impongo però di non forzare i ritmi e arrivo senza danni a Borgo San Dalmazzo e poi a Vignolo, dove svolto a sinistra per Caraglio. Senza più il vento a infastidirmi, i 10 chilometri successivi passano veloci, e quando a Caraglio supero la soglia dei 100 chilometri, ormai è fatta, anzi mi concedo addirittura una digressione sulle strade di campagna, allungando il percorso di un altro paio di chilometri. Il rientro a Dronero, stanco ma non distrutto, suggella una giornata che ha superato tutte le più rosee aspettative, ridando la precedenza allo sport e alle emozioni vissute in prima persona. In attesa di un altro viaggio #finoallafinale.


il meglio del giro

Un giro che entra a buon diritto tra i primi 10 di sempre, da conservare nella memoria dalla prima all'ultima pedalata, con i cinque chilometri finali dell'Esischie che ricorderò a lungo e di cui sento già la nostalgia.

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