lunedì 6 ottobre 2014

Il giro delle tre regioni


Cabella L.re - Cosola - Capanne di Cosola - Passo del Giovà - Pey - Vesimo - Zerba - Ottone - Gorreto - Isola - Cassingheno - Fascia - Casa del Romano - Carrega L.re - Cabella L.re (Km 88)


In una stagione che ha visto molte idee diventare realtà, chiudo il mese di settembre e la serie dei giri in montagna con un anello lungo e ambizioso sulle strade delle 'quattro regioni', quell'angolo di Appennino ligure nel quale in un pugno di chilometri convergono Piemonte, Emilia, Lombardia e Liguria. A voler essere precisi, nel mio caso la Lombardia l'ho solo sfiorata, per percorrerne un buon tratto avrei dovuto passare da Cima Colletta e Passo del Brallo, ma dopo quindici giorni di sosta non mi sono sentito di aggiungere un'altra dozzina di chilometri e un paio di centinaia di metri di dislivello a un percorso già impegnativo; morale, trovo più corretto parlare di giro delle 'tre regioni'.
Il primo ostacolo da superare è la partenza fissata nella frazione Cornareto di Cabella Ligure, in val Borbera inoltrata, il che significa sveglia antelucana e lungo trasferimento in macchina ancor prima di montare in sella, cui va aggiunta una temperatura piuttosto bassa nella prima mezz'ora. Dopo una bella colazione in un bar di Cabella nel quale posso apprezzare lo strano idioma degli abitanti del luogo, sono comunque pronto a dare i primi colpi di pedale.
Ho deciso di ridurre all'osso i preamboli, per cui dopo un paio di chilometri pianeggianti ma freddi raggiungo il bivio per il valico delle Capanne di Cosola, che imbocco sulla sinistra attaccando immediatamente la prima salita del giorno. Quella che sto per percorrere è l'unica strada che collega direttamente il Piemonte all'Emilia, una di quelle curiosità geografiche che da sempre mi piace spulciare nelle cartine.
La salita misura circa 14 chilometri per 850 metri di dislivello e si snoda interamente nel verde intenso della macchia appenninica, con belle viste sulla bassa val Borbera ancora immersa nella nebbia mattutina. Tecnicamente, si tratta di un colle di media difficoltà, adatto al periodo (è il primo giro autunnale dell'anno), con condizione in leggero calo rispetto al mese precedente. La prima metà dell'ascesa, fino alla frazione di Cosola, è molto regolare e a energie intatte non costituisce un grande problema, semmai a quote ancora inferiori ai 1000 metri il contesto ambientale è abbastanza monotono e in mancanza di meglio non mi resta che apprezzare la gran pace che regna in questo estremo lembo di Piemonte, finché un'ennesima curva mi immette sull'abitato di Cosola.
Da questo momento, comincia una salita dalle caratteristiche completamente diverse: si sale a gradoni seguendo una bella serpentina di tornanti che propone visuali sempre più ampie su vette e valli che trasmettono una sensazione di grande solitudine, interrotta soltanto dal passaggo di un paio di macchine e dall'incrocio di due bikers che stanno sfidando una natura intatta e per me vagamente inquietante. Per quanto mi riguarda, adesso devo raddoppiare l'impegno per leggere una salita che si è fatta discontinua e nel complesso più dura rispetto alla prima parte. Già dall'uscita da Cosola, lasciata sulla sinistra una chiesetta, mi aspetta una prolungata rampa molto ripida cui segue un tratto più facile in cui si può recuperare lo sforzo; sarà questo il motivo conduttore fino allo scollinamento, col passaggio più difficile ai tre chilometri dal passo, quando un buon chilometro su pendenza superiore al 10% mi impegna severamente, prima che la salita torni ad assestarsi intorno a un più tranquillo 7%. L'impressione è nell'insieme di riuscire a salire abbastanza bene, e così sarà fino alla fine, per quanto l'ultimo mezzo chilometro sia nuovamente probante, ultimo ostacolo prima di raggiungere i 1500 metri del panoramico (e senza nome né indicazione di sorta) valico delle Capanne di Cosola. Da entrambi i versanti, la vista è su una distesa sterminata di boschi e montagne su cui svettano i 1700 metri, per ricordarci che sempre di Appennini si tratta, del monte Lesima sormontato da un gigantesco radar che lo rende ancor più riconoscibile.
Mi trovo sul confine tra le province di Alessandria e di Piacenza, e dopo circa un chilometro e mezzo di discesa raggiungo e tralascio il bivio a sinistra per Pian dell'Armà e la lombarda valle Staffora. Per un altro chilometro fino al passo del Giovà, che raggiungo sempre in discesa, la strada corre ora sul confine lombardo-emiliano, poi lascio sulla sinistra le strade per Pian del Poggio e per Cima Colletta e proseguo a destra imboccando la lunghissima discesa che percorre tutta la piacentina val Boreca, in un ambiente che più selvaggio non si può. Per oltre 20 chilometri, l'unica compagnia è la striscia d'asfalto che si snoda in un bosco che sembra non finire mai, intervallato solo dall'improvvisa apparizione delle minuscole borgatine di Pey, Vesimo e Zerba. Non è esattamente il posto nel quale augurarsi di forare o avere altri guai meccanici, tanto più che il fondo, generalmente in buone condizioni, presenta qualche tratto reso insidioso da sabbia e ghiaietta franate dalla riva nella sede stradale; aumento al massimo l'attenzione, ma questo non basta a evitarmi un brutto sobbalzo in corrispondenza di un paio di metri sterrati resi invisibili dal chiaroscuro dell'ombra del bosco sull'asfalto, niente più di una frazione di secondo in sella a un cavallo imbizzarrito, poi ritrovo immediatamente l'equilibrio e completo senza altri problemi la discesa fino a oltrepassare il ponte sul torrente Boreca, da cui inizia una breve contropendenza che mi porterà fino al livello del Trebbia e poi della statale per Genova.
Inizia a questo punto un lungo e quasi impercettibile falsopiano di 17 chilometri che attraverso l'ingresso in Liguria all'altezza di Gorreto mi porterà ai piedi della seconda salita del giorno. È un tratto che mi sono cerchiato in rosso al momento della stesura del percorso, perché quasi senza accorgersene si caricano sulle gambe altri 200 metri di dislivello e un errore nell'impostazione del ritmo o nella scelta dei rapporti rischia di far disperdere tesori di energie o peggio ancora di imballare le gambe quando mancano ancora tanti chilometri alla chiusura del giro. Se a questo si aggiunge che comincia a fare caldo, ce n'è quanto basta per concentrare tutte le attenzioni sulla pedalata, anche perché non si può dire che la fondovalle del Trebbia offra panorami indimenticabili.
Quando supero la soglia dei 50 chilometri all'altezza della frazione di Isola, decido di concedermi una sosta per bere e mangiare, poi percorro gli ultimi cinque chilometri discretamente ondulati fino a raggiungere il bivio per un altro valico senza nome, indicato semplicemente come 'Casa del Romano' dall'abitazione che sta in realtà a circa mezzo chilometro dallo scollinamento vero e proprio. Questa seconda salita è abbastanza simile alla prima, solo più lunga di un paio di chilometri e più agevole nella seconda parte, ma non avrò purtroppo modo di apprezzare più di tanto la diminuzione delle pendenze. Fin dai primi chilometri di salita verso Cassingheno, regolari e pedalabili, ho infatti modo di constatare che l'azione delle gambe non è più fluida come prima, e sebbene riesca ancora a sviluppare una velocità accettabile, intuisco che presto o tardi dovrò pagare dazio alla fatica e al sole che adesso ha cominciato a fare pienamente il suo lavoro costringendomi a spremere litrate di sudore.
Dopo Cassingheno, la salita diventa più facile per un paio di chilometri, con una lieve ma prolungata contropendenza fino a raggiungere il bivio per Carpeneto, che si tralascia sulla sinistra. Da questo punto, mancano quattro chilometri e mezzo ad arrivare al traguardo intermedio di Fascia, ennesimo borghetto disperso tra montagne ricoperte di vegetazione, ma il primo è il più duro di tutta la salita, con pendenza media che si aggira intorno al 9%. È in questo settore che do fondo alle forze residue per superare quello che sarebbe l'ultimo passaggio veramente impegnativo del giro, ma il risultato è che anche quando la strada spiana poi sensibilmente, mi sento improvvisamente vuoto e raggiungo a fatica una seconda contropendenza che mi porta alle porte di Fascia, avendo lasciato in qualche modo i primi undici chilometri di salita alle mie spalle; ho superato quota 1100, mancano poco più di cinque chilometri al colle per 300 metri di dislivello, poco più di una collinetta in termini assoluti, un moloch relativamente alla situazione contingente. Non posso nemmeno parlare di una crisona come ne ho patite in passato, tutto sommato riesco ancora a salire ad andatura molto modesta, però non ho più l'energia necessaria per imprimere forza sui pedali anche nei lunghi tratti al 5-6%, e quando capita un breve passaggio più duro sono costretto ad alzarmi sui pedali per non sentire l'acido lattico attanagliarmi i polpacci.
Per fortuna, man mano che salgo la temperatura si fa più fresca e attorno a me tornano ad aprirsi ampie panoramiche sulle alture che degradano in direzione del mare, cosicché proseguo con tenacia fino a un chilometro dalla vetta, dove vengo raggiunto da un ragazzo che sale pimpante e mi accompagna fino alla Casa del Romano, prima di proseguire per la sua strada. È ormai fatta anche per me, un'ultimissimo strappetto al 6-7%, poi la strada spiana definitivamente fino a pervenire allo scollinamento in corrispondenza col rientro in Piemonte. Nel tempo di fare un pao di foto, mi rendo conto che nel frattempo il sole si è nascosto dietro qualche nuvola e tanto è sufficiente perché la temperatura cali al punto da indurmi a indossare le maniche della giacca a vento.
La discesa da Casa del Romano a Cabella sarebbe potenzialmente uno spasso: bei panorami sulla val Borbera, strada ampia e pendenze moderate, tornanti e curvoni in cui far correre la bici; peccato che nella realtà anchequesta sia una delle tante strade abbandonate a se stesse da chissà quanto tempo, piena di gobbe, crepe e rattoppi che la trasformano almeno fino a Carrega Ligure - più o meno a metà - in una collezione di trappole. Dopo Carrega, la situazione da questo punto di vista migliora, ma nel frattempo la discesa si è fatta più tecnica con una lunga serie di curve e controcurve nel bosco fino a raggiungere il greto del Borbera, lungo il quale corrono gli ultimi cinque o sei chilometri del giro, ancora leggermente vallonati.
In conclusione, un bell'anello, impegnativo e reso ancor più interessante dal continuo sconfinamento da una regione all'altra, ma come mi accade sempre quando mi spingo in quest'angolo remoto della mia regione, di così difficile accesso, la domanda che rimane senza una risposta convincente è se valga davvero la pena fare tanta strada per percorrere strade e vedere luoghi non proprio straordinari; in attesa di trovare un responso definitivo al quesito, l'idea è di salutare l'alta valle Borbera per parecchio tempo.

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