martedì 26 aprile 2011

Sotto la pioggia alla Benedicta



Ovada - Belforte M.to - Lerma - Casaleggio Boiro - Mornese - Monte Lanzone - Capanne di Marcarolo - Campo Ligure - Rossiglione - Ovada (Km 59)



Per una volta privilegio la destinazione finale alla completezza dell'itinerario, e in prossimità del 25 aprile punto deciso alla cascina Benedicta, teatro di uno dei più efferati eccidi subiti dai partigiani. Vista la concomitanza della festa della Liberazione con Pasquetta, mi tocca anticipare il giro di un paio di giorni e soprattutto sfidare i capricci del tempo. Per tutta la mattina è piovigginato, e anche quando parto in macchina per Ovada le nuvole che si addensano sugli Appennini non lasciano pensare niente di buono: le previsioni escludevano piogge intense, ma la probabilità di prendere acqua a questo punto mi sembra molto elevata. Tecnicamente, classifico il percorso come montano non tanto per la altitudini (non raggiungo mai gli 800 metri), quanto per il contesto appenninico del tratto da Mornese a Campo Ligure e per il dislivello complessivo per la prima volta sensibilmente superiore ai 1000 metri.
Fisso il punto di partenza presso un comodo parcheggio all'uscita del casello di Ovada e attacco il primo quarto del giro sotto un cielo grigio che per il momento tuttavia trattiene la pioggia. Questo tratto iniziale è tipicamente collinare, un continuo su e giù attraverso i paesi di Lerma - molto bello, con un imponente castello medievale -, Casaleggio Boiro e Mornese. Di tanto in tanto, sulla sinistra si apre una suggestiva panoramica sulle alture della zona, che non sono purtroppo in grado di riconoscere, mentre sotto i pedali la strada mi obbliga a continui cambi di ritmo col risultato che fatico a spezzare il fiato. Solo dopo Mornese, con una dozzina di chilometri già alle spalle, il saliscendi si trasforma in morbida ascesa, intorno al 3%, in attesa del bivio a destra per le Capanne di Marcarolo.
Quando lo raggiungo, ho ormai nelle gambe almeno 300 metri di dislivello, ma non sento traccia di fatica e posso attaccare la prima salita della giornata al Monte Lanzone a pieno regime. Dal bivio sono cinque chilometri scarsi di ascesa abbastanza regolare e discretamente impegnativa nel tratto centrale, con punte sull'8%. Il paesaggio si è fatto nel frattempo montano, con tratti caratteristicamente liguri per via della vegetazione, delle alture attorno ai 1000 metri completamente ricoperte di boschi e per l'assoluta mancanza di centri abitati: per una ventina di chilometri non intravedo una casa e incrocio tre o quattro macchine in tutto. Nel frattempo, anche il clima si è adeguato alla ruvidezza dei luoghi, e a metà salita comincia a scendere una leggera pioggerella che si infittisce man mano che salgo. Quando, circa un chilometro davanti a me, intuisco il punto dello scollinamento, vedo la valletta al di là completamente immersa nelle nuvole e mi preparo al peggio.
Al GPM, la pioviggina è ormai diventata pioggia a tutti gli effetti, seppur di scarsa intensità, e anche la temperatura è scesa intorno ai 12-13 gradi: niente di grave, ma avessi avuto i guanti forse sarebbe stato il momento di indossarli.
La discesa, lunga quasi il doppio della salita e pertanto quasi sempre da pedalare, si snoda in un ambiente più desolato che selvaggio, su strada stretta e bagnata con sulla destra la poco amichevole gola del torrente Gorzente, cui scenderò di lì a pochi chilometri: parola d'ordine, massima prudenza, anche perché in un ambiente del genere qualunque incidente verrebbe pagato a carissimo prezzo. Per qualche chilometro, la pioggia è abbastanza fastidiosa, ma un giro come questo, che difficilmente ripeterò in futuro, non può essere abortito, e mi faccio forza per proseguire in ogni caso. Per fortuna, quando sono ormai discretamente zuppo, nella seconda parte della discesa la pioggia prima diminuisce sensibilmente e poi cessa del tutto quando raggiungo il guado sul Gorzente e comincio la seconda salita che mi porterà ai 770 metri delle Capanne di Marcarolo, nuova massima altitudine dell'anno.
Ho alle spalle una trentina di chilometri per vario verso impegnativi conditi da un discreto dislivello, ma quando inizio la nuova arrampicata constato piacevolmente che le gambe girano ancora molto bene, merito del lavoro delle settimane precedenti. Dopo un primo breve tratto pedalabile, la salita si fa decisamente più dura, con un paio di chilometri con pendenze tra l'8 e il 9% che mi impegnano a fondo, ma poi l'ascesa si fa un po' più dolce e non fatico più di tanto a raggiungere un primo scollinamento, mentre intorno a me il bosco di faggi e castagni è tutto un fruscio per le gocce di pioggia che cadono dalle foglie a terra.
Dopo un breve tratto in discesa utile per riprendere fiato, un successivo strappo mi porta infine a destinazione. Il primo segnale dei tristi trascorsi del luogo è un cartello giallo che indica sulla sinistra il sacrario dei Martiri della Benedicta, uno spiazzo con una serie di lapidi in ricordo dei quasi 150 partigiani vittime nell'aprile del 1944 di una feroce rappresaglia tedesca. Poco più in là, segnalati da una cappelletta, il luogo della fucilazione e dall'altra parte della strada quella che fu la fossa comune dei condannati.
Infine, dopo un'ulteriore gobba del terreno, ecco apparire i ruderi della cascina Benedicta con una serie di pannelli rievocativi e sul terreno un breve tratto del ciottolato originario. Complice la nebbia e il cielo grigio, non riesco a definire belli questi posti, ma devo dire che il clima ha forse contribuito a renderli ancora più impressionanti: è valsa davvero la pena di sobbarcarsi un po' di acqua, freddo e fatica per rendere omaggio ai caduti della Resistenza.
Subito dopo la cascina, raggiungo il definitivo scollinamento con indicazione della Capanne di Marcarolo, che si trovano in realtà qualche centinaio di metri più in basso. Il meteo mi sconsiglia un'ultima deviazione ai Piani di Praglia, e mi butto direttamente in discesa verso Campo Ligure. Per un paio di chilometri, alla discesasi alterna qualche innocua contropendenza, poi entro in territorio ligure e la strada inizia a scendere stretta e tortuosa, con parecchie curve cieche. Non c'è certamente un gran traffico, ma rispetto al deserto del versante piemontese, adesso incrocio di tanto in tanto qualche macchina e una serie di moto. Considerato che la strada è ancora bagnata, anche in questo caso scelgo di scendere con tutta calma per raggiungere la fondovalle dell'Orba senza inconvenienti.
A Campo Ligure, mi ricongiungo alla statale del Turchino che dovrò percorrere in leggera discesa per una quindicina di chilometri fino alla chiusura dell'anello. Adesso sento abbastanza freddo, ma preferisco non fermarmi per non dover poi riprendere coi muscoli delle gambe raffreddati: anzi, visto che per la prima volta la strada è ampia e scorrevole, è il momento di spendere le residue energie per abbreviare il più possibile i tempi di rientro, anche perché negli ultimi 4-5 chilometri ricomincia a piovere e raggiungo la macchina appena in tempo per evitare un temporale.
Giro in definitiva reso più difficile dal meteo poco propizio, attraversamento di luoghi non proprio ameni, ma il tutto giustificato da una meta di grande interesse civile che non mi fa rimpiangere la scelta.

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